Uso illecito dei dati personali: sì al licenziamento per giusta causa

Pubblicato il 11 luglio 2025

Il licenziamento per giusta causa può essere una risposta adeguata in caso di violazioni gravi alla normativa sulla privacy.

Sottolineata, dalla Corte d'appello di Milano, l'importanza di un rigoroso rispetto degli obblighi aziendali e delle normative in materia di privacy da parte dei dipendenti.

Il dipendente non rispetta la normativa sulla privacy? Licenziato

La Corte d'Appello di Milano, Sezione Lavoro, con sentenza n. 302 del 2 aprile 2025, ha confermato la legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato nei confronti di un lavoratore che aveva violato gravemente la normativa sulla privacy, durante l’orario di lavoro.

Il caso esaminato: abuso dei dati personali  

Il fatto all'attenzione della Corte territoriale riguardava un lavoratore, impiegato presso l’ufficio amministrativo di una società, che aveva intercettato una corrispondenza aziendale contenente il curriculum vitae di una candidata.

In un momento successivo, il dipendente aveva acquisito il numero di cellulare privato della giovane candidata e, senza autorizzazione, le aveva inviato una serie di messaggi WhatsApp.

La società aveva ricevuto una segnalazione circa l'incidente e, dopo un'apposita indagine, aveva avviato un procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore.

Nella contestazione disciplinare, la società aveva evidenziato la violazione delle normative relative alla privacy, nonché l’abuso del proprio ruolo nell’accesso e nella gestione di informazioni sensibili.

La sanzione disciplinare adottata era stata, dapprima, la sospensione cautelativa, seguita, poi, dal licenziamento per giusta causa.

La sentenza del Tribunale

Il lavoratore aveva impugnato la decisione davanti al Tribunale, contestando la gravità della sanzione e sostenendo che il suo comportamento non giustificasse un licenziamento, ma solo una sanzione più lieve, come una sospensione o una multa.

Secondo la difesa, il lavoratore aveva agito in buona fede, non avendo divulgato i dati a terzi e avendo interrotto immediatamente i messaggi non appena la candidata lo aveva richiesto.

Tuttavia, il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso, rilevando che il comportamento del lavoratore aveva compromesso gravemente il vincolo fiduciario tra il dipendente e l’azienda.

Il giudice di primo grado aveva sottolineato che l’uso dei dati personali per finalità estranee a quelle aziendali costituiva una grave violazione degli obblighi di diligenza previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), nonché delle disposizioni in materia di privacy stabilite dal GDPR e delle regole aziendali.

Inoltre, il comportamento del lavoratore aveva leso l'immagine e la reputazione aziendale, aspetti fondamentali per una cooperazione efficiente e rispettosa dei principi di riservatezza.

La decisione della Corte d'Appello di Milano  

Il lavoratore aveva quindi proposto appello contro la sentenza del Tribunale, chiedendo che la Corte annullasse il licenziamento, ritenendo la sanzione sproporzionata rispetto al fatto contestato.

La difesa, in tale sede, aveva enfatizzato l'assenza di danni reali e la limitatezza della condotta del lavoratore, in quanto non aveva diffuso il numero di telefono della candidata a terzi e aveva agito in buona fede.

La Corte d'Appello, tuttavia, ha confermato la decisione di primo grado.

Grave condotta idoenea a minare il rapporto di fiducia

La Corte ha ribadito che la condotta del lavoratore era incompatibile con la permanenza del rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente.

Inoltre, ha rilevato che il comportamento del lavoratore integrava una violazione delle disposizioni in materia di privacy e delle norme contrattuali, configurandosi come una "grave violazione" della fiducia necessaria per il mantenimento del rapporto lavorativo.

Ha escluso rilevanza, altresì, alla circostanza che il lavoratore non avesse divulgato i dati a terzi, in quanto l’uso illecito di un dato personale per scopi personali, senza il consenso dell’interessato, è già di per sé una violazione grave.

Infine, ha ribadito la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione secondo cui la valutazione della giusta causa di licenziamento non dipende dalla semplice elencazione delle ipotesi previste dal CCNL, ma richiede una valutazione complessiva dei fatti, della condotta del lavoratore e del danno causato al rapporto di fiducia tra le parti.

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