Apologia Isis via web

Pubblicato il 02 dicembre 2015

Con sentenza n. 47489 depositata il primo dicembre 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione penale, ha confermato la condanna di un cittadino straniero per apologia dello Stato islamico ed associazione con finalità di terrorismo internazionale, per aver diffuso mediante due siti internet, un documento di propaganda islamica.

Avverso la condanna, l'imputato si difendeva adducendo, nel caso di specie, l'insussistenza dell'interesse giuridico tutelato dalla norma, su un concetto di "Stato islamico" differente da quello recepito nel nostro ordinamento e in quello internazionale. L'associazione per cui si procede – a detta della difesa - sarebbe  infatti costituita ed operante all'estero, in uno Stato, quale quello islamico, il cui territorio si estende su parte della Siria e dell'Iraq.

Apologia destinata all'Italia, giurisdizione italiana

Ma la Cassazione, respingendo la censura, in primo luogo ha ribattuto che l'apologia di reato in contestazione è posta in essere senza alcun dubbio in Italia e destinata a residenti nel nostro Paese; in secondo luogo, ha negato che l'associazione denominata Isis sia operante esclusivamente all'estero.

D'altra parte – ha ulteriormente precisato – ai fini dell'affremazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l'evento o sia stata compiuta, anche solo in parte, l'azione.

Potenzialità diffusiva del web

Avverso la pronuncia di condanna, il ricorrente contestava inoltre che le modalità di diffusione del documento incriminato potessero essere idonee ad integrare la natura pubblica dell'apologia.

Censura, anche questa, contrastata dalla Cassazione, secondo cui l'indagato non poteva non essere consapevole delle potenzialità diffusive della pubblicazione sui siti web, tra l'altro, in assenza di qualsiasi filtro di accesso.

Invero – chiariscono gli ermellini – pare evidente che un sito internet, come nella specie, liberamente accessibile, abbia una potenzialità diffusiva indefinita, tanto da poter essere in tutto e per tutto equiparato alla stampa. D'altra parte le stesse Sezioni Unite di recente (con sentenza n. 31022 dep. 17/07/2015) – ricorda la Corte - hanno esplicitamente affiancato le due forme di manifestazione pubblica di pensiero.  

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