Appropriazione indebita per il manager

Pubblicato il 09 luglio 2009
Con la sentenza n. 26281 dell'8 luglio 2009, la Corte di legittimità ha respinto il ricorso presentato da un amministratore di società contro la pronuncia con cui il Tribunale del riesame di Roma aveva convalidato, nei suoi confronti, la confisca finalizzata al sequestro preventivo di alcuni conti e titoli. Il manager era imputato in quanto aveva prelevato dai conti della società del denaro, frutto di operazioni commerciali, per poi reinvestirlo per sé in titoli. Nel testo della sentenza, la Cassazione, dopo aver tracciato la distinzione tra la fattispecie dell'infedeltà patrimoniale, perseguibile solo su querela dei soci, e quella di appropriazione indebita, in alcuni casi perseguibile anche d'ufficio, ha spiegato che prelevare denaro frutto di operazioni commerciali costituisce un'appropriazione indebita in quanto manca il presupposto del conflitto di interessi necessario per la configurazione del reato di infedeltà patrimoniale. Per la Corte, “le norme incriminatici dell'infedeltà patrimoniale e dell'appropriazione indebita sono fra loro in rapporto di specialità reciproca. La prima tipizza la necessaria relazione tra un preesistente ed ancora attuale conflitto di interessi, obiettivamente valutabile, e le finalità di profitto o altro vantaggio dell'atto di disposizione, finalità che si qualificano in termini di ingiustizia per la proiezione soggettiva del preesistente conflitto. L'appropriazione indebita presenta caratteri di specialità per la natura del bene (soltanto denaro o cosa mobile) che ne può essere oggetto e per l'irrilevanza del perseguimento di un semplice vantaggio anziché di un profitto”.

 Eleonora Pergolari
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