Abuso d’ufficio: per la Corte costituzionale l’abrogazione è legittima
Pubblicato il 04 luglio 2025
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Sono state depositate, dalla Corte costituzionale, le motivazioni della sentenza n. 95 del 3 luglio 2025 sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, disposta dalla Legge n. 114/2024.
La decisione, adottata all’esito dell’udienza pubblica tenuta il 7 maggio, era già stata anticipata con comunicato diramato l'8 maggio 2025,
Consulta: legittima l’abrogazione dell’abuso d’ufficio
Le questioni di legittimità costituzionale erano state sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, in riferimento alla riforma normativa che ha eliminato il reato di abuso d’ufficio dall’ordinamento penale italiano.
Le censure si fondavano in particolare sull’asserita violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, comunemente nota come Convenzione di Merida.
Decisione della Corte: questioni inammissibili in parte, infondate nel merito
La Consulta, come anticipato, ha giudicato ammissibili esclusivamente le questioni attinenti al rispetto della Convenzione di Merida, dichiarando invece inammissibili le ulteriori questioni fondate su altri parametri costituzionali.
Nel merito, ha ritenuto le censure infondate, chiarendo che:
- la Convenzione di Merida non impone agli Stati l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio;
- non esiste un divieto convenzionale di abrogazione, qualora tale fattispecie sia già prevista dalla legislazione nazionale.
Le motivazioni alla base della decisione
Nella sentenza n. 95/2025 sono illustrati i principali elementi di valutazione che hanno condotto al rigetto delle questioni di legittimità costituzionale.
Dopo un’analisi puntuale delle disposizioni della Convenzionedi Mérida, invocate dai giudici rimettenti, è stato chiarito che non sussiste alcun obbligo internazionale, per lo Stato italiano, di prevedere espressamente come reato le condotte riconducibili all’abuso d’ufficio. In particolare, la Corte ha rilevato che la tipizzazione di tale reato non è uniforme nei sistemi penali degli Stati aderenti, e che la Convenzione non impone una formulazione normativa vincolante in tal senso.
In secondo luogo, i giudici costituzionali hanno evidenziato i limiti del proprio sindacato, precisando che non è loro attribuito il compito di sostituire la valutazione discrezionale del legislatore con un giudizio di merito sull’adeguatezza o sull’efficacia del nuovo assetto normativo. La valutazione circa l’opportunità dell’eliminazione del reato e gli eventuali effetti sull’ordinamento penale rientrano nell’esclusiva responsabilità politica del Parlamento.
Con riferimento alle ulteriori censure sollevate in base agli articoli 3 e 97 della Costituzione, concernenti rispettivamente il principio di uguaglianza e i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, la Corte ne ha dichiarato l’inammissibilità. Tali censure, se accolte, avrebbero comportato un’estensione della punibilità in contrasto con il principio di legalità penale, che vieta interpretazioni e interventi normativi “in malam partem”, ossia peggiorativi per l’imputato.
In conclusione, pur riconoscendo l’esistenza di possibili vuoti di tutela penale derivanti dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio, la Corte ha ribadito che la valutazione circa l’equilibrio tra costi e benefici della riforma resta affidata al legislatore, e non può essere oggetto di sindacato costituzionale, salvo il rispetto degli obblighi internazionali e dei parametri costituzionali esaminati.
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