Assegno divorzile, nessun aumento se l’ex sceglie di licenziarsi

Pubblicato il 08 febbraio 2018

I giudici di Cassazione hanno confermato la statuizione con cui la Corte d’appello aveva respinto la domanda avanzata da una donna al fine di vedersi aumentare l’assegno divorzile in suo favore.

In sede di gravame era stato ritenuto che l’integrazione dell’assegno non fosse dovuta in quanto l’istante risultava proprietaria di un appartamento, da cui percepiva un canone di locazione, e di un terreno, nonché in quanto beneficiava di un reddito per l’attività lavorativa svolta in una società e risultava anche abilitata all’esercizio della professione forense.

Detta valutazione di merito è stata considerata dalla Cassazione, con ordinanza n. 3015 del 7 febbraio 2018, come “incensurabile”.

Nella decisione impugnata era stato anche riferito delle successive libere scelte di vita della ricorrente, ed ossia di rinunciare ad una carriera promettente, di accettare un posto di lavoro part-time e poi di dimettersi dal lavoro, senza che vi fosse prova di alcuna costrizione al riguardo né di tentativi di riprendere l’attività lavorativa.

Assegno solo se l’ex è impossibilitato a condurre una vita autonoma e dignitosa

Questo senza contare che la conservazione del tenore di vita matrimoniale, richiamato dalla ricorrente a sostegno della richiesta di un maggiore assegno, non costituisce più – hanno ricordato gli Ermellini – un parametro di riferimento utilizzabile né ai fini del giudizio sull’an debeatur, né di quello sul quantum debeatur, la cui determinazione è finalizzata a consentire all’ex coniuge il raggiungimento dell’indipendenza economica, nel caso di impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza autonoma e dignitosa.

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