Assenza ingiustificata dopo trasferimento ritorsivo, no al licenziamento

Pubblicato il 14 settembre 2022

Il trasferimento del dipendente è nullo perché ritorsivo? L'assenza ingiustificata che venga contestata al lavoratore e posta a fondamento dell’intimato licenziamento, non può essere qualificata come tale in quanto dovuta ad un legittimo esercizio del potere di autotutela contrattuale, esercitato dal prestatore di lavoro.

Con sentenza n. 26395 del 7 settembre 2022, la Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui la Corte d'appello si era pronunciata nell'ambito di un giudizio tra una società datrice di lavoro ed un proprio dipendente, licenziato per assenza ingiustificata dopo che era stato trasferito.

La Corte territoriale, in particolare, aveva ritenuto sussistenti indici presuntivi dai quali era possibile dedurre che il trasferimento del lavoratore fosse nullo perché ritorsivo e che, di conseguenza, anche l’impugnato licenziamento dovesse ritenersi affetto dal medesimo intento ritorsivo.

Parte datoriale si era rivolta alla Suprema corte, lamentando violazione e falsa applicazione di legge e censurando la sentenza impugnata nella parte in cui era stata condannata alla reintegra del prestatore e alle conseguenze ex art. 18, comma 1, dello Statuto dei lavoratori.

Secondo la ricorrente, gli argomenti di ordine presuntivo addotti dalla Corte territoriale a sostegno delle proprie conclusioni erano, in realtà, privi di consistenza, trattandosi di fatti del tutto generici, peraltro nemmeno compiutamente identificati.

La censura non è stata condivisa dalla Sezione Lavoro della Cassazione, dopo aver ricordato che, per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l'intento ritorsivo datoriale abbia efficacia determinante ed esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso.

Dal punto di vista probatorio - ha continuato la Corte - l’onere ricade sul lavoratore in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., onere che può essere assolto anche mediante presunzioni, come era accaduto nel caso in esame.

In tale contesto, la valutazione, nel concreto, della vicenda storica - ovvero se il licenziamento sia stato o meno intimato per motivo di ritorsione - costituisce una quaestio facti, come tale devoluta all’apprezzamento del giudice di merito, con un accertamento di fatto non suscettibile di riesame innanzi alla Corte di cassazione.

Nella sede di legittimità, inoltre, non può criticarsi nemmeno il ragionamento presuntivo operato dal medesimo giudice di merito, perché spetta a quest'ultimo "valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l'attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l'attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche".

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