Associazione mafiosa. La custodia in carcere non può essere l’unica misura adeguata
Pubblicato il 30 marzo 2013
La Corte costituzionale, con
sentenza n. 57 depositata il 29 marzo 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, secondo periodo, del Codice di procedura penale, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del Codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
La norma censurata è quella che prevede la carcerazione preventiva come unica misura cautelare idonea per chi è indagato di reati commessi con metodo mafioso o per agevolare la criminalità organizzata.
Secondo la Consulta, in particolare, il profilo di illegittimità della citata norma si profilerebbe con riferimento al carattere assoluto della presunzione della adeguatezza della misura della custodia carceraria alle fattispecie in esame. Per contro – si legge nel testo della decisione – la previsione di una presunzione solo relativa, atta a realizzare una semplificazione del procedimento probatorio, suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile da elementi di segno contrario, non eccederebbe i limiti di compatibilità costituzionale,
“rimanendo per tale verso non censurabile l'apprezzamento legislativo circa la ordinaria configurabilità di esigenze cautelari nel grado più intenso”.