Cassazione su minimale contributivo e accordi di prossimità

Pubblicato il 17 luglio 2025

Con ordinanza n. 19467 del 15 luglio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, ha fornito chiarimenti sull'applicazione degli accordi di prossimità e sul rispetto dei minimi contributivi fissati dalla legge.

Accordo di prossimità e minimali contributivi: decisione della Corte di Cassazione

Cosa sono gli accordi di prossimità?  

Gli accordi di prossimità, introdotti consentono alle imprese di adattare alcune disposizioni dei contratti collettivi nazionali alle esigenze specifiche della singola azienda. Tali accordi possono riguardare vari aspetti dell’organizzazione del lavoro, ma devono comunque rispettare i minimi retributivi e le norme previdenziali previste dalla legge.

Il caso all'attenzione della Corte

La Corte di Cassazione è intervenuta su un caso che riguardava un accordo aziendale stipulato da un'impresa con le proprie rappresentanze sindacali, in cui si prevedeva un livello retributivo inferiore rispetto a quello stabilito dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicabile. L'accordo aziendale comportava una riduzione dell'importo complessivo delle retribuzioni, con conseguente abbassamento dell’imponibile previdenziale.

L’INPS aveva contestato l'accordo, chiedendo che i contributi fossero calcolati sulla base dei minimi retributivi previsti dal CCNL, in quanto la riduzione salariale non rispettava la normativa previdenziale.

La sentenza della Corte di Cassazione  

La Corte di Cassazione ha confermato la posizione dell'INPS, ritenendo che l'accordo di prossimità esaminato non fosse idoneo a determinare il parametro del minimale contributivo

Questo non per la mancanza di requisiti dimensionali e formali da parte delle organizzazioni sindacali, ma perché tale accordo non poteva contrastare con la normativa primaria che stabilisce il livello minimo garantito di retribuzione ai fini contributivi.

Infatti, l'accordo prevedeva una deroga sull'importo complessivo delle retribuzioni, riducendole rispetto a quanto fissato dal CCNL di riferimento.

Di conseguenza, la contribuzione versata dall’azienda risultava notevolmente inferiore rispetto a quella dovuta, qualora l'imponibile fosse stato calcolato secondo i minimi retributivi stabiliti dal CCNL medesimo.

Nella decisione, la Cassazione ha ribadito i principi secondo cui:

"Resta inalterato il minimale contributivo commisurato alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative...il cui importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali, è desumibile dai diversi accordi sindacali o dal contratto individuale di lavoro quando questi ultimi prevedano una retribuzione superiore alla misura minima stabilita dal contratto collettivo nazionale, mentre in caso contrario la contribuzione va parametrata a quella stabilita dalla contrattazione nazionale di settore".

E ancora:

"ad ogni modo, riguardo ai contratti di prossimità, che integrano il contratto collettivo per meglio rispondere ai bisogni della singola impresa, la contrattazione aziendale, ai fini del caIcolo del minimale contributivo, non può derogare in pejus al livello retributivo assunto dall'art. 1 L. n.389/1989, essendo la materia previdenziale indisponibile, come si desume dall'art. 2115 с.с., e soggetta a regolamentazione tramite norme imperative di legge statale, inderogabile dall'autonomia collettiva".
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