La Legge di bilancio 2026 accende il confronto tra Governo e professioni. Al centro delle critiche, l’articolo 129 del disegno di legge di bilancio, che lega il pagamento dei compensi ai liberi professionisti che lavorano per le pubbliche amministrazioni alla verifica della loro regolarità fiscale e contributiva.
Una misura che, secondo commercialisti, consulenti del lavoro e Confprofessioni, rischia di introdurre discriminazioni, ritardi nei pagamenti e nuovi oneri burocratici a carico dei professionisti, già sottoposti a numerosi adempimenti.
Il Consiglio nazionale dei commercialisti valuta positivamente l’impianto generale della LdB 2026, considerandolo una buona base di partenza, ma chiede alcuni interventi correttivi per renderla più efficace e meno penalizzante per i professionisti e le imprese.
Apprezzamenti per le misure fiscali
I commercialisti accolgono favorevolmente la riduzione della pressione fiscale per il secondo scaglione IRPEF, dal 35% al 33% per i redditi tra 26mila e 50mila euro, e il taglio dell’imposta sostitutiva sui premi di risultato dal 5% all’1%, con l’aumento del tetto agevolabile da 3.000 a 5.000 euro.
Positivo anche il giudizio sulla conferma, per il triennio 2026-2028, dei crediti d’imposta per le aree ZES e ZLS e sulla reintroduzione dell’iper-ammortamento, misura che la categoria auspica diventi strutturale.
I commercialisti chiedono con forza l’eliminazione dell’articolo 129, che subordina il pagamento dei compensi ai liberi professionisti che lavorano per le pubbliche amministrazioni alla verifica della loro regolarità fiscale e contributiva.
Secondo il CNDCEC, la norma introdurrebbe disparità di trattamento rispetto ai dipendenti pubblici e aggraverebbe la burocrazia, imponendo la presentazione di documenti già in possesso della PA. Inoltre, non prevede soglie minime di irregolarità, esponendo i professionisti al blocco dei pagamenti anche per importi di lieve entità.
La categoria ha anche sottolineato che l’ordinamento vigente già contempla strumenti che consentono alla pubblica amministrazione di sospendere i pagamenti nei confronti di chi non rispetta gli obblighi fiscali. Inoltre, è stato ricordato che la verifica della regolarità contributiva è già richiesta come requisito per partecipare alle gare d’appalto pubbliche.
La categoria chiede di modificare l’articolo 18 sulla tassazione dei dividendi, che esclude dal regime PEX le partecipazioni inferiori al 10%, con conseguente tassazione integrale dei proventi distribuiti.
Secondo i commercialisti, questa disposizione è priva di coerenza sistematica e dovrebbe essere rimossa dal testo. In alternativa, si propone almeno di ridurre la soglia prevista, così da non penalizzare eccessivamente gli investitori. Per favorire la crescita del mercato dei capitali, i professionisti suggeriscono inoltre di escludere dal nuovo regime le partecipazioni in società quotate nei mercati regolamentati.
I commercialisti hanno poi sollecitato l’abrogazione o la modifica della norma che introduce ulteriori restrizioni alla compensazione dei crediti d’imposta, giudicata ingiustamente penalizzante.
Tale disposizione, infatti, limiterebbe un diritto fondamentale dei contribuenti, mettendo a rischio il principio di tutela del patrimonio garantito dallo Statuto del contribuente. Se la misura dovesse comunque essere mantenuta, la categoria ritiene che essa debba riguardare esclusivamente le grandi imprese, evitando così di gravare sulle micro, piccole e medie aziende e sui professionisti, che dispongono di minori margini di compensazione.
Infine, il Consiglio nazionale ha evidenziato la necessità di rivedere la decorrenza della norma: invece di applicarla alle compensazioni effettuate dal 1° luglio 2026, sarebbe più corretto limitare la validità alle operazioni relative a crediti d’imposta maturati o acquistati dopo l’entrata in vigore della disposizione stessa.
I commercialisti propongono l’introduzione di una disciplina specifica per il trattamento fiscale dei differenziali positivi generati dall’acquisto di crediti d’imposta a valore inferiore a quello nominale, limitandone la rilevanza ai crediti acquistati dal 2025.
Infine, chiedono una norma interpretativa che chiarisca come i contributi legati all’emergenza Covid non comportino limiti al riporto delle perdite fiscali, per evitare penalizzazioni ai soggetti più colpiti dalla pandemia.
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