Condannato il commercialista che trattiene i libri contabili

Pubblicato il 06 ottobre 2015

Con sentenza n. 39881 depositata il 5 ottobre 2015, la Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso di un commercialista imputato ex art. 646 c.p., ne ha confermato la condanna al risarcimento di tutti i danni sofferti dalla società costituitasi parte civile.

Il fatto

Il ricorrente, in particolare, era stato tratto a giudizio con l'accusa di appropriazione indebita aggravata, per non aver restituito tempestivamente, nella sua qualità di libero professionista, i libri sociali e le scritture contabili di una s.r.l., omettendo contestualmente di presentare il modello unico di dichiarazione Iva. La predetta società ne aveva tratto notevole danno, per aver ricevuto, in conseguenza di ciò, una cartella esattoriale gravata di interessi e sanzioni.

La Corte d'Appello dunque, confermando la responsabilità del professionista ex art. 646 c.p., lo aveva altresì condannato al risarcimento dei predetti danni in favore della s.r.l. parte civile, disponendone la liquidazione in un separato giudizio dinnanzi al giudice civile.

La motivazione

Le censure mosse dal ricorrente avverso detta pronuncia – secondo la Cassazione – sono inammissibili in quanto formulate in modo del tutto generico, senza tra l'altro indicare la specifica violazione di legge riferibile alla impugnata decisione.

Invero, perché le doglianze della difesa possano essere prese in considerazione, è presupposta la soluzione di questioni di fatto (individuazione e quantificazione del danno risarcibile, legittimazione della società ecc) da sottoporre al vaglio della competente sede di merito, che esulando dunque dal presente giudizio di legittimità.

Occorre infine rilevare che la Corte d'Appello si è limitata a dichiarare l'esistenza, in capo all'imputato, dell'obbligo di risarcimento del danno, quale conseguenza del riconosciuto reato di appropriazione indebita, ritenendo di demandare al giudice civile ogni questione concernente la determinazione del danno medesimo. Ed è semmai in tale sede – conclude la Suprema Corte - che l'imputato potrà far valere ogni questione di fatto e di diritto connessa alla pretesa risarcitoria e alla effettività del danno patito dalla parte civile.  

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