Confermata, dalla Consulta, la compatibilità della confisca allargata con i principi costituzionali, anche nei reati di lieve entità in materia di stupefacenti, purché applicata nel rispetto dei criteri di proporzionalità, temporalità e occasionalità: il giudice deve valutare in concreto la natura del reato e la credibile provenienza dei beni, evitando applicazioni automatiche.
Ai sensi dell’articolo 240-bis del codice penale, in caso di condanna per determinati reati il giudice è tenuto a disporre la confisca di tutti i beni nella disponibilità del condannato che risultino sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati, salvo che quest’ultimo ne dimostri la legittima provenienza.
Con il decreto legge 123/2023 (c.d. decreto Caivano), il legislatore ha esteso tale misura anche ai reati di “piccolo spaccio” previsti dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico in materia di stupefacenti, ampliando il catalogo dei reati presupposto.
Il Tribunale di Firenze, in due distinti procedimenti per detenzione e spaccio di modeste quantità di stupefacenti, aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale sull’estensione della confisca allargata, ritenendo sproporzionato applicarla a condotte di lieve entità e dubbia redditività.
Le ordinanze invocavano la violazione degli artt. 3, 42 e 117 Cost., con riferimento anche all’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU.
Con la sentenza n. 166 del 7 novembre 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni, precisando che la misura non è irragionevole né lesiva del diritto di proprietà.
La Corte ha ricordato che la confisca allargata ha natura di misura di sicurezza patrimoniale, non punitiva, e mira a impedire che il condannato conservi beni di probabile origine illecita.
La Consulta ha inoltre evidenziato la conformità della norma al diritto dell’Unione europea, che impone agli Stati membri di prevedere poteri di confisca estesa per i reati in materia di stupefacenti puniti con pene superiori a quattro anni.
Pur confermando la legittimità dell’istituto, la Corte ha imposto una lettura restrittiva, precisando che:
La Consulta ha ritenuto legittima anche la retroattività della confisca per reati commessi prima della riforma del 2023, poiché la misura è ripristinatoria e non configura una pena.
Non sussiste, quindi, violazione del principio di irretroattività, né lesione dell’affidamento dell’imputato, trattandosi di beni già acquisiti in modo contrario alla legge.
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