Copertura assicurativa forense. Non basta l'inadempimento

Pubblicato il 23 novembre 2015

Perché la polizza assicurativa stipulata dall'avvocato compra interamente i danni riportati nell'esercizio della professione forense, assume rilievo non tanto l'inadempimento in sé per sé, quanto piuttosto la concreta dimostrazione di un nesso tra detta condotta inadempiente ed il danno derivatone al cliente.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 23209 depositata il 13 novembre 2015, nel respingere il ricorso di un avvocato che aveva convenuto in giudizio la propria compagnia assicuratrice, perché fosse tenuto indenne da quanto obbligato a corrispondere ad una propria cliente, in conseguenza di una sentenza asseritamene frutto di errore professionale.

La predetta compagnia, tuttavia, aveva inviato proposta di rimborso per un importo pari solo ad un terzo delle complessive spese legali. Decisione poi confermata in secondo grado e che l'avvocato aveva prontamente impugnato in Cassazione, adducendone la contrarietà alla stipula polizza assicurativa.

Rimborso assicurazione. Va provato il nesso tra inadempimento e danno

Ma gli ermellini, nel respingere le censure del legale, muovono dal presupposto che, per quanto qui interessa, l'inadempimento nella prestazione professionale non assume per sé stesso rilievo assorbente, giacché occorre invece riscontrare la sussistenza del nesso eziologico tra condotta negligente/ imperita e danno al cliente, tramite una valutazione positiva compiuta ex ante (alla luce della regola causale "di funzione" del "più probabile che non").

In altre parole, occorre verificare se, a fronte del comportamento dovuto, il cliente avrebbe conseguito o meno il riconoscimento delle proprie ragioni, o comunque, effetti più vantaggiosi, secondo uno specifico onere di allegazione, nella fattispecie – a parere della Corte – non adeguatamente assolto.  

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