Crediti professionali: la Cassazione sulla decorrenza degli interessi moratori

Pubblicato il 31 luglio 2025

La liquidità del debito non è indispensabile per costituire in mora il debitore. Anche se l'importo del credito è contestato, la costituzione in mora ha comunque effetto. In tal caso, gli interessi moratori sono dovuti solo sulla parte del credito che viene riconosciuta.

E' quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, Seconda sezione civile, con l'ordinanza n. 19421 del 14 luglio 2025,  in tema di corretta applicazione del regime degli interessi dovuti per i crediti da compensi professionali.

Cassazione: interessi moratori anche su crediti professionali contestati

Nel nostro ordinamento - spiega la Suprema Corte - non vale il principio secondo cui non si può essere in mora se il credito non è liquido.

La mora del debitore è esclusa solo quando questi si sia trovato nell'assoluta impossibilità, alla stregua dell'ordinaria diligenza, di quantificare la prestazione dovuta. Va esclusa, ossia, solo quando egli non può quantificare il debito, neppure con la normale diligenza.

Se invece il debitore può fare una stima, ad esempio usando le tariffe professionali e considerando le attività svolte, la mora si considera presente.

In tal caso, la responsabilità del debitore si riconosce soprattutto quando la contestazione è pretestuosa o riguarda aspetti fondamentali del rapporto, anche se vi sono prove che confermano il credito.

In questi casi, il ritardo nel pagamento è da ritenere colpevole, perché causato da una condotta ingiustificatamente dilatoria del debitore.

Di conseguenza, spettano gli interessi moratori a partire dalla domanda, ma solo sulla parte di credito non contestata o su quella che verrà riconosciuta dal giudice.

La Cassazione, in questo modo, ha definitivamente superato il principio secondo cui, in assenza di un credito liquido, non si può configurare la mora (principio romanistico in illiquidis non fit mora).

Richiamato, in tale contesto, il principio giurisprudenziale da ultimo affermato, secondo cui:

"La liquidità del debito non è condizione necessaria della costituzione in mora, con la conseguenza che, in caso di contestazione dell'entità del credito, l'atto di costituzione in mora produce i suoi effetti tipici, con riguardo agli interessi moratori, limitatamente alla parte del credito riconosciuta".

Il caso esaminato 

Nel caso esaminato dalla Corte, due professioniste avevano richiesto al Tribunale ,la liquidazione dei compensi professionali nei confronti di una società cliente. Il Tribunale aveva accolto la domanda, ma applicando solo gli interessi legali, e non quelli moratori previsti dalla normativa speciale.

Il giudice di primo grado, in altri termini, aveva omesso di valutare le richieste stragiudiziali di adempimento (atti di costituzione in mora) e aveva erroneamente applicato il tasso legale anziché quello maggiorato previsto dal D.Lgs. n. 231/2002.

Da qui il loro ricorso in Cassazione.

La Suprema Corte ha accolto parzialmente le ragioni delle ricorrenti, ritenendo fondata la doglianza relativa alla mancata applicazione degli interessi moratori previsti dal D.Lgs. 231/2002, e alla decorrenza degli interessi dalla messa in mora stragiudiziale, correttamente documentata.

Le argomentazioni della Suprema Corte   

Nella propria disamina, la Cassazione si è soffermata sulla decorrenza e natura degli interessi, ribadendo che:

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