Decreto su seconda rata Imu e versamenti fiscali, piovono malcontenti

Pubblicato il 29 novembre 2013 Qualcuno ha letto gli aumenti di aliquota Imu deliberati dai Comuni come un modo per avere dallo Stato un rimborso gonfiato per il mancato introito, visto che si sapeva che non sarebbe stata pagata la seconda rata. Come a dire che se non fosse stata in odore di abolizione la seconda rata non sarebbero stati deliberati aumenti di aliquota. Ma, dal momento che il Governo ha permesso - e permette fino al 9 dicembre 2013 - ai sindaci di aumentare un'aliquota su un'imposta in via di abolizione, gli incrementi sono stabiliti e qualcuno dovrà pagarli.

Questo apre alla querelle tra Comuni e Governo.

Infatti, il comunicato del CdM, in merito, spiega che lo Stato non può versare tutto il gap tra il budget per la copertura e quanto richiesto, nero su bianco, dai Comuni che hanno già ottemperato alla delibera sugli aumenti.

All’incirca un 40% della differenza fra l'Imu effettiva prodotta dalle delibere comunali e quella generata dall'aliquota standard sarà chiesto ai cittadini, probabilmente entro il 16 gennaio 2014, data di scadenza della prima rata della Iuc (Imposta unica comunale costituita da Imu non delle prime case, Tasi e Tari).

A far discutere il mondo imprenditoriale, invece, la clausola di salvaguardia prevista dal Dl 102/2013 che ha abolito la prima rata Imu: salirà dal 101 al 102,5% la rata degli acconti Ires e Irap sulle imprese.

Anche le banche protestano per il carico fiscale, previsto per la copertura, e sono pronte a ricorrere all'Ue.
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