Demansionamento: il risarcimento richiede prova del danno, no ad automatismi

Pubblicato il 06 maggio 2025

Il demansionamento rappresenta una rilevante violazione degli obblighi contrattuali del datore di lavoro e può comportare, nei casi più gravi, il diritto del lavoratore a un risarcimento del danno.

Demansionamento del lavoratore: presupposti, tutele e risarcibilità del danno  

A chiarire meglio questo tema interviene l’ordinanza n. 11586 del 2 maggio 2025 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che consente di analizzare con precisione le condizioni che rendono il demansionamento un illecito civilmente sanzionabile.

Che cos'è il demansionamento?  

Il concetto di demansionamento è definito dall’art. 2103 del codice civile, che tutela il lavoratore imponendo al datore di lavoro l’obbligo di adibirlo alle mansioni per le quali è stato assunto o a mansioni equivalenti. Ogni modifica peggiorativa delle mansioni svolte è vietata, salvo eccezioni previste dalla legge.

Si ha dunque demansionamento quando il lavoratore viene assegnato a compiti inferiori rispetto a quelli previsti dal proprio inquadramento contrattuale o a quelli concretamente svolti fino a quel momento.

Le tutele previste in caso di demansionamento  

Il lavoratore che subisce un demansionamento può attivare diversi strumenti di tutela, sia di natura reintegratoria che risarcitoria. Innanzitutto può chiedere il ripristino delle mansioni originarie, qualora l’assegnazione a mansioni inferiori risulti illegittima.

A ciò si aggiunge la possibilità di ottenere il riconoscimento di eventuali differenze retributive laddove, per un determinato periodo, siano state svolte mansioni superiori rispetto a quelle formalmente riconosciute.

Infine, in presenza di un danno specificamente dimostrabile, può richiedere il risarcimento per la lesione della professionalità, oltre all’indennità sostitutiva del preavviso in caso di dimissioni per giusta causa determinate dal demansionamento stesso.

Il danno da demansionamento: quando è risarcibile  

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il danno non può considerarsi in re ipsa, ovvero automaticamente conseguente all’illegittimo demansionamento. È necessario, ossia, che il lavoratore alleghi e provi concretamente di aver subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, derivante dalla dequalificazione.

Ad esempio, tale pregiudizio può consistere nella perdita di opportunità professionali, nel deterioramento delle competenze, nel danno all’immagine o nella compromissione della dignità personale. Anche il danno non patrimoniale può essere oggetto di risarcimento, purché venga provata una lesione effettiva di diritti costituzionalmente garantiti.

Il caso deciso con l’ordinanza n. 11586/2025

Nel caso deciso dalla Suprema Corte, una lavoratrice, per un periodo di poco superiore a due mesi, era stata adibita a mansioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte.

La Corte d’Appello aveva riconosciuto, in via equitativa, un risarcimento pari alla metà della retribuzione mensile del periodo in oggetto.

Tuttavia, secondo la Cassazione, tale decisione non poteva ritenersi corretta, in quanto la Corte territoriale non aveva identificato alcuna circostanza concreta che giustificasse la liquidazione del danno.

La quantificazione equitativa, infatti, deve basarsi su elementi specifici relativi al caso concreto, come la durata del demansionamento, il livello di professionalità compromessa e l’eventuale perdita di chance. In mancanza di tali elementi, il risarcimento si fonderebbe su una presunzione automatica della lesione, contraria ai principi giurisprudenziali consolidati.

Sul punto, la Cassazione ha richiamato quanto sottolineato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 6572/2006, secondo cui:

"fermi gli oneri di allegazione e di prova gravanti su chi denuncia di aver subito il pregiudizio, dall'inadempimento datoriale non deriva automaticamente l'esistenza di un danno, il quale non è immancabilmente ravvisabile solo in ragione della potenzialità lesiva dell'atto illegittimo".

Il ruolo della prova presuntiva  

La prova del danno - ha quindi precisato la Corte - può anche essere fornita attraverso presunzioni semplici, cioè inferenze logiche fondate su fatti noti e rilevanti.

Tuttavia, il giudice deve esplicitare il percorso logico-argomentativo seguito per giungere alla conclusione circa la sussistenza del danno.

Non è sufficiente che un solo elemento sia indicativo di una potenziale lesione, ma è necessaria una valutazione complessiva e coerente di più circostanze tra loro concordanti. In assenza di una motivazione puntuale e fondata, non è ammissibile una liquidazione equitativa del danno.

Conclusioni  

L’ordinanza in commento rafforza un principio fondamentale nel diritto del lavoro: la tutela del lavoratore contro il demansionamento non implica automaticamente il diritto al risarcimento. È invece necessario un serio lavoro probatorio, che dimostri l’effettivo danno subito a seguito della condotta datoriale.

Da un lato, il lavoratore dovrà documentare le variazioni delle mansioni e il nesso tra queste e il pregiudizio subito.

Dall’altro, il datore di lavoro potrà difendersi dimostrando l’assenza di lesione o l’esistenza di esigenze organizzative legittime.

Il tutto, sempre sotto la lente del giudice, chiamato ad adottare un criterio rigoroso e coerente nell’accertamento della fondatezza delle pretese risarcitorie.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del caso Una lavoratrice adibita a mansioni inferiori per circa due mesi ha ottenuto in appello il riconoscimento del demansionamento e il risarcimento del danno in via equitativa, pari a metà retribuzione mensile del periodo.
Questione dibattuta Se sia legittimo riconoscere il risarcimento del danno da demansionamento in via equitativa senza una specifica motivazione fondata su elementi di fatto concreti.
Soluzione della Cassazione La Corte ha cassato la sentenza: il risarcimento del danno da demansionamento richiede la prova del pregiudizio subito; la liquidazione equitativa è ammessa solo se motivata con riferimento a circostanze concrete del caso.
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