Detenuti. La Consulta apre ai colloqui riservati con i partner

Pubblicato il 29 gennaio 2024

Con sentenza n. 10 del 26 gennaio 2024, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 18 della Legge n. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario), nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia.

Questo, laddove, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie.

La Corte costituzionale si è così pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto.

Sono state accolte, in particolare, le censure riferite agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.

Secondo la Corte, la prescrizione del controllo a vista sullo svolgimento del colloquio con le persone legate al detenuto da stabile relazione affettiva, in quanto disposta in termini assoluti e inderogabili, si risolve in una compressione sproporzionata e in un sacrificio irragionevole della dignità della persona.

Tale compromissione - si legge nella sentenza - comporta violazione, in primo luogo, dell’art. 3 Cost., sempre che, tenuto conto del comportamento del carcerato, non ricorrano in concreto ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né sussistano, rispetto all’imputato, specifiche finalità giudiziarie.

Senza contare che l’impossibilità per il detenuto di esprimere una normale affettività con il partner si traduce in un vulnus alla persona nell’ambito familiare, in un pregiudizio per la stessa nelle relazioni nelle quali si svolge la sua personalità, esposte pertanto ad un progressivo impoverimento, e in ultimo al rischio della disgregazione.

E' evidenziata, in proposito, la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto una pena che impedisce al condannato di esercitare l’affettività nei colloqui con i familiari rischia di rivelarsi inidonea alla finalità rieducativa.

Per finire - concludono i giudici costituzionali - il carattere assoluto e indiscriminato del divieto di esercizio dell’affettività intramuraria, quale derivante dall’inderogabilità della prescrizione del controllo a vista sullo svolgimento dei colloqui, si pone in contrasto con l’art. 8 CEDU, sotto il profilo del difetto di proporzionalità tra tale radicale divieto e le sue, pur legittime, finalità.

In particolare, il diritto al rispetto della vita privata e familiare viene compresso senza che sia verificabile in concreto la necessità della misura restrittiva per esigenze di difesa dell’ordine e prevenzione dei reati.

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