Dimissioni per fatti concludenti: il Tribunale di Trento sui limiti della nuova disciplina

Pubblicato il 18 giugno 2025

Prima applicazione giurisprudenziale della norma sulle dimissioni per fatti concludenti: Il Tribunale di Trento chiarisce limiti e presupposti della nuova disciplina.

Dimissioni implicite: prima sentenza applicativa della nuova norma

Con la sentenza n. 87 del 5 giugno 2025, il Tribunale ordinario di Trento – Sezione Lavoro si è pronunciato, per la prima volta, sull’applicazione della nuova disciplina delle dimissioni per fatti concludenti, introdotta dall’art. 19 della Legge n. 203/2024, che ha inserito il comma 7-bis all’art. 26 del Decreto legislativo n. 151/2015.

La nuova disciplina delle dimissioni per fatti concludenti  

La nuova disciplina sulle dimissioni per fatti concludenti consente al datore di lavoro, in presenza di un’assenza ingiustificata prolungata oltre il limite previsto dal contratto collettivo applicabile, di considerare cessato il rapporto per volontà del lavoratore.

Tale cessazione si fonda su una presunzione legale, secondo cui la condotta omissiva del dipendente equivale a una manifestazione implicita di volontà di dimettersi. Tuttavia, per produrre effetti, è richiesta una comunicazione formale agli enti competenti e il rispetto rigoroso dei termini contrattuali.

La vicenda esaminata

Una lavoratrice, impiegata a tempo parziale presso una società cooperativa del settore terziario, aveva ricevuto nel dicembre 2024 una comunicazione aziendale con cui le veniva notificata la cessazione dell’attività in modalità agile e il rientro in presenza dal 31 dicembre 2024.

La lavoratrice aveva chiesto un incontro per esporre le proprie esigenze familiari e organizzative, senza ottenere riscontro. A partire dal 7 gennaio 2025, aveva quindi interrotto la prestazione lavorativa.

Il 13 gennaio 2025, la società aveva comunicato al Servizio Lavoro della Provincia Autonoma di Trento la cessazione del rapporto per dimissioni in forma presuntiva, ai sensi della nuova norma, richiamando l’assenza ingiustificata protrattasi oltre i termini previsti dal CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi.

La lavoratrice, con successiva comunicazione, aveva impugnato il recesso, dichiarandolo privo di forma scritta e di procedura disciplinare, manifestando la propria disponibilità al rientro in servizio.

Il ricorso e la posizione delle parti  

Nel ricorso al Tribunale, la lavoratrice ha chiesto di accertare l’illegittimità della cessazione del rapporto di lavoro, affermando che l’assenza non poteva essere qualificata come dimissione e che il recesso si era concretizzato in assenza di forma scritta e senza contestazione disciplinare.

La società resistente ha invece sostenuto che la risoluzione del rapporto non costituiva un licenziamento, ma una presa d’atto della volontà della dipendente di non riprendere servizio, in applicazione dell’art. 26, comma 7-bis, D.lgs. n. 151/2015.

La questione giuridica sottesa

La controversia ruotava attorno a due questioni principali:

Le valutazioni del Tribunale di Trento 

Il Tribunale di Trento ha escluso che, nel caso esaminato, si fosse perfezionata la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti prevista dall’art. 26, comma 7-bis, del D.lgs. 151/2015, introdotto dalla Legge n. 203/2024.

Insussistenza delle dimissioni per fatti concludenti  

Assenze anteriori al 12 gennaio 2025

In primo luogo, il Tribunale ha osservato che le assenze anteriori al 12 gennaio 2025, data di entrata in vigore della legge, non potevano essere computate ai fini della configurazione delle dimissioni per fatti concludenti. Ciò in applicazione del principio del tempus regit actum, che impone l'applicazione della norma solo per i fatti verificatisi dopo la sua entrata in vigore, in linea con il divieto di retroattività delle leggi sancito dall’art. 11 delle preleggi.

Va infatti escluso, secondo il Tribunale, che condotte di assenza ingiustificata tenute in data anteriore all'entrata in vigore della nuova norma e, quindi, aventi a quell’epoca soltanto valenza disciplinare, rilevino al fine di perfezionare la fattispecie (assenza ingiustificata oltre il termine previsto dal CCNL o, in mancanza, superiore a 15 giorni) a cui quella norma attribuisce, quale proprio effetto giuridico, la portata di dimissioni per facta concludentia in via presuntiva relativa ex lege.

L’assenza del 12 gennaio 2025

In secondo luogo, il Tribunale ha escluso la rilevanza giuridica dell'assenza del 12 gennaio 2025, coincidente con una giornata domenicale, per la quale non sussisteva alcun obbligo di prestazione lavorativa, considerando tale giorno non rilevante giuridicamente ai fini della configurazione delle dimissioni.

Come ricordato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti: "il concetto di assenza in tanto può avere un senso in quanto vi sia un obbligo, contrario, di presenza: invece, sarebbe contraddittorio e privo di senso parlare di assenza dal lavoro in riferimento a giorni festivi o comunque non lavorativi”.

Limite dei tre giorni previsto dal CCNL

Infine, il Tribunale ha richiamato l'art. 238, comma 4, del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi, che stabilisce che l’assenza ingiustificata diventi sanzionabile solo nel caso in cui superi i tre giorni nell’anno solare. Alla data della comunicazione del 13 gennaio 2025, risultava decorso un solo giorno utile, insufficienti per configurare la presunzione legale di cessazione del rapporto di lavoro.

Alla luce di questi elementi, il Tribunale ha concluso che non si era perfezionata la fattispecie di dimissioni per fatti concludenti, e che la comunicazione del datore di lavoro non aveva effetti risolutivi sul rapporto di lavoro.

Irrilevanza delle assenze successive alla comunicazione

Andava inoltre escluso che le condotte della lavoratrice successive alla comunicazione al Servizio Lavoro della Provincia Autonoma di Trento fossero rilevanti.

Difatti, l'art. 19 della Legge prevede che, come elemento costitutivo della fattispecie, le condotte di assenza ingiustificata debbano essere anteriori alla comunicazione inviata alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro.

Configurabilità del licenziamento per fatti concludenti  

Il giudice del lavoro, in definitiva, ha ritenuto che, in assenza di dimissioni valide, la cessazione del rapporto di lavoro fosse avvenuta per volontà del datore di lavoro, manifestata attraverso il rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa offerta dalla dipendente con comunicazione del 3 febbraio 2025.

Tale condotta è stata qualificata come licenziamento per fatti concludenti (facta concludentia), ovvero un recesso non formalizzato in forma scritta ma desumibile da atti univoci.

Il licenziamento, ciò posto, è stato giudicato inefficace, per violazione dell’obbligo di forma scritta previsto dalla legge, e illegittimo, per mancato rispetto del procedimento disciplinare, in quanto non vi era stata contestazione degli addebiti né assegnazione di un termine a difesa.

Dimissioni per fatti concludenti: fattispecie non perfezionate, reintegra

All’esito del giudizio, il Tribunale ha accolto integralmente le domande della ricorrente, riconoscendo l’illegittimità del licenziamento e applicando le tutele previste dall’art. 2, commi 1 e 2, del D.lgs. 23/2015.

In particolare, il giudice ha disposto la reintegrazione della lavoratrice nel medesimo posto di lavoro precedentemente occupato, rilevando che la cessazione del rapporto era avvenuta in violazione delle norme sul recesso datoriale. È stata inoltre riconosciuta in favore della dipendente un’indennità risarcitoria pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del trattamento di fine rapporto.

A ciò si è aggiunto l’obbligo per il datore di lavoro di versare i contributi previdenziali e assistenziali relativi al periodo intercorso tra la data del licenziamento e quella della reintegrazione, nonché la condanna alla rifusione delle spese legali sostenute dalla ricorrente.

La sentenza rappresenta un rilevante precedente giurisprudenziale, in quanto chiarisce i limiti temporali di applicazione dell’art. 19 L. 203/2024, esclude l’automatica equiparazione tra assenza ingiustificata e dimissioni e qualifica il rifiuto datoriale di ricevere la prestazione come licenziamento.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del caso Una lavoratrice, dopo aver interrotto la prestazione lavorativa in seguito alla cessazione del lavoro agile, riceve dal datore una comunicazione di risoluzione del rapporto per dimissioni presunte, ai sensi dell’art. 26, comma 7-bis, D.lgs. 151/2015. Contesta il recesso, sostenendo l’inesistenza di dimissioni e l’illegittimità del comportamento datoriale.
Questione dibattuta Se l’assenza della lavoratrice integrasse la fattispecie di dimissioni per fatti concludenti ai sensi della nuova norma e se il successivo rifiuto del datore di riceverne la prestazione potesse configurarsi come licenziamento.
Soluzione del Tribunale Il Tribunale di Trento esclude la sussistenza delle dimissioni presunte per difetto dei requisiti temporali e contrattuali. Qualifica il rifiuto datoriale come licenziamento per fatti concludenti, dichiarandolo inefficace e illegittimo per mancanza di forma scritta e di procedimento disciplinare. Dispone reintegrazione, indennizzo e versamento contributivo.
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