Eccessiva durata del fallimento: dall’ammissione al passivo del creditore

Pubblicato il 28 agosto 2018

E’ dal momento dell’ammissione al passivo che i creditori subiscono gli effetti della irragionevole durata dell’esecuzione fallimentare nella quale si sono insinuati.

Per gli stessi creditori è, infatti, irrilevante la durata pregressa della procedura fallimentare: fino a quel momento ne erano estranei.

E rimane, altresì, irrilevante, rispetto alla irragionevole durata della procedura fallimentare, il momento in cui gli stessi abbiano proposto la domanda di ammissione al passivo che, al più, può valere ai fini della ragionevole durata de procedimento di accantonamento della pretesa, a norma degli articoli 92 e seguenti della Legge fallimentare.

Non vale la data della domanda ma quella della ammissione al passivo

Lo ha precisato la Corte di cassazione, Seconda sezione civile, con ordinanza n. 21200 del 27 agosto 2018, cassando, con rinvio, una decisione di merito.

In questa era stato ritenuto che il dies a quo, ossia la data dalla quale calcolare la ragionevole durata di una procedura fallimentare ai fini dell’indennizzo previsto dalla Legge Pinto, dovesse essere individuato nel giorno in cui i creditori avevano proposto la domanda di ammissione al passivo.

Per gli Ermellini, i giudici di secondo grado non avevano fatto corretta applicazione dei principi sopra indicati ai sensi dei quali, come detto, per i creditori che lamentavano un’eccessiva durata del procedimento fallimentare, il dies a quo andava calcolato dal giorno dell’emissione del decreto di ammissione del proprio credito al passivo fallimentare.

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