Equo indennizzo oltre i sette anni di procedura fallimentare

Pubblicato il 12 maggio 2015 Con sentenza n. 9452 depositata il 11 maggio 2015 la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ha parzialmente accolto il ricorso avverso la pronuncia con cui la Corte d'Appello aveva disposto l'equo indennizzo ex L. 81/2001– in favore dei ricorrenti – limitatamente a dieci anni di ritardo in una procedura fallimentare, ritenendo ragionevole la durata della stessa sino ai primi otto anni (in tutto la procedura era durata diciotto anni).

Con la pronuncia in esame, la Cassazione ha ritenuto fondata la censura di parte ricorrente, laddove eccepiva che la durata ragionevole della procedura fallimentare, dovesse ritenersi di cinque anni, elevabile al massimo di sette, allorquando – come rilevato nel caso di specie - la procedura si presentasse particolarmente complessa, per l'elevato numero di creditori o per la particolare situazione e natura dei beni giuridici.

Ciò detto, deve dunque ritenersi ridimensionata al termine di sette anni – ha proseguito la Suprema Corte – la massima durata consentita nella procedura de quo.

La Cassazione ha poi confermato quanto dedotto in secondo grado – e respinto il relativo motivo di censura – laddove si è inteso far risalire l'inizio della procedura, ai fini dell'equo indennizzo, alla data di insinuazione al passivo e non a quella – come invece dedotto dai ricorrenti – della dichiarazione di fallimento.

Infine, quanto alla liquidazione dell'equo indennizzo, i giudici di legittimità hanno riconosciuto una cifra, per ciascun anno di ritardo, inferiore al parametro di 750 euro elaborato dalla Corte Europea, facendo proprio quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui il giudice nazionale può discostarsene qualora, avuto riguardo alle peculiarità del caso concreto, ravvisi elementi di positiva smentita di detto criterio, di cui deve dar conto in motivazione.
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