Secondo la Corte di cassazione, il pubblico ministero può chiedere il fallimento dell’imprenditore anche se la notizia dello stato di insolvenza sia stata da lui appresa nel corso di indagini svolte nei confronti di soggetti diversi o collegati all’imprenditore e a prescindere dai tempi di approfondimento investigativo direttamente incidenti sull’insolvente.
Difatti, la volontà del legislatore, emergente dalla lettura delle ipotesi alternative previste dall’articolo 7, primo comma, n. 1 della Legge fallimentare - ai sensi del quale il pm presenta la richiesta di fallimento “quando l'insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore” – una volta venuta meno la possibilità di dichiarare il fallimento d’ufficio, è nel senso di ampliare la legittimazione del pm a tutti i casi nei quali egli abbia comunque istituzionalmente appreso la detta notizia.
L’unico profilo che conta – sottolinea la Corte di legittimità nella sentenza n. 2228 del 30 gennaio 2017 – è che la notizia “decoctionis” sia stata appresa nel corso di indagini legittimamente svolte.
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