Fecondazione eterologa di nascosto? Disconoscimento consentito

Pubblicato il 29 marzo 2017

Il padre può legittimamente richiedere il disconoscimento del figlio, qualora abbia certezza che la madre, per concepire lo stesso, abbia fatto ricorso, a sua insaputa, alla fecondazione eterologa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, dando ragione ad un uomo che aveva convenuto in giudizio la ex moglie, onde sentir dichiarare di non essere padre del figlio minore. Lo stesso riferiva di aver scoperto il proprio stato di totale impotenza a generare, quando, stante la difficoltà ad avere figli con la donna, si era sottoposto ad accertamenti medici che ne avevano rivelato la sua condizione. Oltretutto dichiarava di aver ricevuto dalla moglie una lettera ove la stessa confessava di aver avuto il bambino grazie ad un “imprecisato aiuto di laboratorio”.

Filiazione da fecondazione artificiale Nuova ipotesi di disconoscimento

Ebbene, ritenendo fornita la prova dell’impotenza a generare nel periodo corrispondente, la Corte Suprema ha concesso il disconoscimento sulla scorta del seguente principio: la disciplina contenuta nell'art. 235 c.c. trova applicazione anche alla filiazione derivante da fecondazione artificiale, tenuto conto che il quadro normativo, a seguito della Legge n. 40/2004 – interpretabile alla luce del principio del favor veritatis – si è arricchito di una nuova ipotesi di disconoscimento, che si aggiunge a quelle previste dalla citata disposizione codicistica.

Per ragioni sistematiche e di identità della ratio – conclude oltretutto la Corte con sentenza n. 7965 del 28 marzo 2017 – il termine di decadenza dell’azione ex art. 244 c.c., in tale ipotesi, comincia a decorrere dal momento in cui si acquista la certezza del ricorso alle pratiche di fecondazione assistita.

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