Durante il periodo di ferie annuali, il lavoratore ha diritto a ricevere una retribuzione che sia pienamente rappresentativa del trattamento economico normalmente percepito durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Secondo quanto stabilito dall’articolo 7 della Direttiva 2003/88/CE, così come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, devono essere inclusi nel calcolo della retribuzione feriale tutti gli importi economici collegati allo svolgimento delle mansioni, oppure riferiti al livello professionale e personale del dipendente.
Questa impostazione mira a evitare che il lavoratore sia disincentivato a usufruire del proprio diritto al riposo annuale. In altre parole, il dipendente non deve essere indotto a rinunciare alle ferie per timore di subire una perdita economica (Cassazione, ordinanza n. 25840/2024).
Per valutare se una determinata voce retributiva debba essere inclusa nella retribuzione per ferie, l’analisi va condotta con riferimento alla retribuzione mensile, poiché è questa la misura effettivamente percepita nel periodo di astensione, e non al reddito annuale.
In assenza di specifiche disposizioni legislative che definiscano nel dettaglio gli elementi che compongono la retribuzione feriale, la materia è demandata alla contrattazione collettiva.
Quest’ultima ha la facoltà di stabilire quali voci siano computabili e quali possano essere escluse, purché ciò non comporti una violazione dell’articolo 36 della Costituzione italiana, che impone il principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
Questi i principi richiamati dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 13042 del 16 maggio 2025, pronunciata in relazione alla corretta inclusione delle indennità accessorie nella retribuzione dovuta per i giorni di ferie.
Nel caso esaminato, alcuni lavoratori avevano contestato l’esclusione, dalla retribuzione per ferie, di indennità accessorie strettamente legate alle mansioni da essi svolte. La Corte d’Appello aveva respinto le loro pretese, ritenendo che tali indennità non dovessero essere considerate nella base di calcolo del trattamento economico durante le ferie.
La Corte di Cassazione, al contrario, ha rilevato che le indennità in questione erano fissate in misura costante e legate alla prestazione lavorativa, e che pertanto avrebbero dovuto essere computate. Di conseguenza, ha annullato la sentenza impugnata e disposto il rinvio del procedimento per un nuovo esame.
Nella propria disamina, la Corte ha precisato che la nozione di “retribuzione feriale” nel diritto dell’Unione Europea si basa su una valutazione articolata in tre fasi consecutive, ognuna delle quali deve dare esito positivo affinché si possa passare alla successiva:
Nel caso oggetto di giudizio, la Suprema Corte ha rilevato un vizio nel ragionamento della Corte d’Appello, che non aveva verificato adeguatamente il secondo dei tre requisiti sopra elencati. In particolare, non era stato accertato se l’indennità fosse effettivamente collegata alle mansioni svolte o allo status professionale del lavoratore.
A causa di questo errore, la Corte d’Appello aveva applicato in modo scorretto l’articolo 7 della Direttiva 2003/88/CE, il quale rappresenta la base normativa europea per la determinazione della retribuzione spettante durante il periodo di ferie. Sebbene tale disposizione fosse stata correttamente individuata come applicabile, la sua attuazione concreta era erronea per via di un accertamento incompleto o inesatto dei fatti di causa.
Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello e ha disposto il rinvio alla stessa, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo accertamento e applichi correttamente i criteri giuridici individuati.
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