Il rapporto tra sistema formativo e mercato del lavoro in Italia presenta, da anni, una criticità strutturale che condiziona l’efficacia delle politiche occupazionali e compromette la capacità del Paese di rispondere alle trasformazioni economiche e tecnologiche in atto.
Ecco allora che la Nota della Fondazione studi dei consulenti del lavoro del 29 agosto 2025, intitolata “Formazione e lavoro: un gap destinato a crescere”, fotografa con dati aggiornati e proiezioni a medio termine l’ampiezza di questo disallineamento, individuandone cause, effetti e implicazioni sistemiche per il mercato del lavoro italiano.
Vediamo i punti fondamentali di questo interessante documento.
Nel quinquennio 2019-2024 l’Italia ha registrato un aumento del tasso di occupazione nella fascia di età 18-29 anni, passato dal 39,1% al 42,7%; si tratta però, sottolinea la Fondazione, di un aumento disomogeneo a seconda del titolo di studio posseduto. In particolare:
Questo andamento riflette una maggiore attrattività dell’istruzione terziaria, che continua ad essere percepita come strumento privilegiato per accedere a posizioni lavorative più stabili e qualificate.
Tuttavia, come sottolineato dalla Fondazione studi, il semplice aumento del livello di istruzione non è sufficiente a garantire l’effettivo allineamento tra competenze offerte e richieste.
In parallelo alla crescita dell’occupazione, si è verificata una diminuzione dei tassi di disoccupazione giovanile, scesi dal 22,2% al 14,5% su scala nazionale.
Anche in questo caso, però, la riduzione è più marcata per i laureati (dal 16,7% al 9,9%) rispetto ai diplomati (dal 20,3% al 14,4%) e a coloro con titoli di studio più bassi (dal 31,9% al 20,9%).
Il Mezzogiorno, storicamente in difficoltà, ha mostrato invece segnali incoraggianti: il tasso di disoccupazione giovanile è passato dal 37,5% al 26%, con progressi evidenti soprattutto tra i laureati (dal 33,7% al 17,4%).
Tuttavia, l’apparente miglioramento degli indicatori occupazionali nasconde una criticità più profonda: la crescente difficoltà delle imprese nel reperire i profili professionali effettivamente richiesti, nonostante l’aumento della forza lavoro disponibile. Questo fenomeno evidenzia un mismatch formativo che peraltro si sta consolidando.
Secondo le stime della Fondazione studi, elaborate su dati del sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del lavoro, il quinquennio 2025-2029 sarà infatti caratterizzato da un accentuato squilibrio tra fabbisogni occupazionali delle imprese e percorsi formativi seguiti dai giovani.
I dati sono particolarmente allarmanti per il comparto della formazione professionale secondaria: a fronte di un fabbisogno annuo stimato in oltre 135.000 diplomati provenienti da percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP), l’offerta effettiva si attesterà intorno alle 70.000 unità, generando un deficit strutturale di circa 65.000 profili all’anno.
Le carenze saranno particolarmente marcate nei settori:
Analogamente, nel segmento della formazione tecnica secondaria si registrerà un gap stimato in circa 20.000 diplomati all’anno, nonostante l’aumento delle iscrizioni negli istituti tecnici.
Al contrario il sistema liceale, che raccoglie ormai oltre il 51% delle iscrizioni alla scuola superiore, risulta sovradimensionato rispetto alle reali esigenze del mercato del lavoro.
Il sistema universitario, pur presentando un quadro di relativa stabilità quantitativa, manifesta forti squilibri qualitativi.
Se, complessivamente, l’offerta di laureati (circa 260.000 all’anno) sarà infatti in linea con la domanda (257.000), l’analisi per area disciplinare mostra gravi criticità. Mancano profili in settori ad alta domanda come:
Al contempo, si rileva un eccesso di offerta in aree meno richieste dal mercato, come il settore giuridico, psicologico, linguistico e umanistico: questo squilibrio si traduce in tassi di occupazione sensibilmente inferiori per i laureati in tali ambiti, spesso accompagnati da forme contrattuali precarie o sottoutilizzo delle competenze.
La fotografia scattata dalla Fondazione evidenzia dunque come il persistente disallineamento tra sistema educativo e domanda di lavoro rappresenti un rischio strategico per la competitività del Paese.
Le dinamiche demografiche, la transizione digitale e la riconversione ecologica richiedono infatti una forza lavoro dotata di competenze aggiornate e coerenti con l’evoluzione dei settori produttivi.
L’evoluzione dell’occupazione giovanile (2019-2024)
Negli ultimi cinque anni, il mercato del lavoro italiano ha mostrato segnali di ripresa relativamente stabili, in particolare sul fronte dell’occupazione giovanile.
Secondo l’analisi della Fondazione studi consulenti del lavoro, nel periodo compreso tra il 2019 e il 2024 il tasso di occupazione dei giovani tra i 18 e i 29 anni è cresciuto di oltre tre punti percentuali, passando dal 39,1% al 42,7% dato che, sebbene positivo, richiede una lettura più approfondita soprattutto in relazione al livello di istruzione posseduto dai giovani che, come accennato, incide direttamente sulle possibilità di inserimento nel mondo del lavoro.
La laurea si conferma il titolo con il più alto potenziale occupazionale, mentre i giovani con qualifiche più basse continuano a incontrare difficoltà persistenti nell’accesso ad opportunità lavorative qualificate.
Va inoltre sottolineato che, in un contesto segnato da una transizione tecnologica e digitale sempre più rapida, la specializzazione delle competenze rappresenta un fattore chiave per l’occupabilità.
Le imprese richiedono oggi profili sempre più verticali e qualificati, spesso non disponibili sul mercato a causa di una mancata sincronizzazione tra sistema educativo e sistema produttivo.
Oltre alla crescita dell’occupazione, il periodo 2019-2024 ha visto anche una riduzione significativa del tasso di disoccupazione giovanile, passato dal 22,2% al 14,5% su scala nazionale.
Il miglioramento generale, sebbene confortante, non compensa però la distanza tra i profili formati dal sistema educativo e quelli effettivamente richiesti dalle imprese in quanto, pur aumentando l’occupazione, molte assunzioni non corrispondono a un impiego coerente con il percorso formativo svolto.
Uno degli aspetti più critici messi in evidenza dalla Fondazione riguarda il paradosso delle scelte scolastiche e universitarie, che spesso non tengono conto delle effettive esigenze del mercato del lavoro; a fronte di una domanda crescente di figure tecniche, specializzate e operative, il sistema scolastico e universitario continua a orientare la maggioranza degli studenti verso percorsi generalisti o poco spendibili dal punto di vista occupazionale.
Nel segmento della scuola secondaria di secondo grado, il dato più emblematico riguarda il crescente orientamento verso i licei, che rappresentano ormai oltre il 51% delle iscrizioni al primo anno contro il 49,7% rilevato nell’anno scolastico 2018/2019. Nello stesso periodo, la quota di studenti che ha scelto un istituto professionale è scesa dal 18,1% al 15,4%, con una perdita netta del 19,3% delle iscrizioni.
Questa dinamica assume un significato particolare se confrontata con le proiezioni Excelsior relative al fabbisogno occupazionale per il periodo 2025-2029.
Secondo tali stime, le imprese italiane necessiteranno ogni anno di:
Dunque, mentre le imprese faticano a reperire tecnici specializzati, meccanici, operatori elettrici, informatici e addetti alla logistica, gli studenti continuano a privilegiare percorsi liceali o universitari orientati a settori con minori prospettive occupazionali. Il paradosso è evidente: si studia di più, ma si lavora meno nei settori che offrono reali opportunità.
La stessa tendenza si riscontra nell’ambito universitario: sebbene il numero complessivo delle immatricolazioni sia aumentato, le scelte non riflettono i fabbisogni reali del mercato.
La maggioranza delle nuove iscrizioni continua a concentrarsi in aree disciplinari quali:
Al contrario, i corsi di laurea in ambito STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), e in particolare in informatica e ingegneria industriale, registrano ancora una bassa attrattività, specialmente tra le donne: solo il 2,9% degli immatricolati nel 2024/2025 ha scelto informatica, e meno del 6% delle studentesse si è iscritta a corsi di ingegneria.
Questo scenario alimenta un circolo vizioso di disallineamento, dove da un lato si assiste a una sovraqualificazione formale (titoli di studio non spendibili), e dall’altro a una carenza di competenze pratiche e tecniche.
Conseguenze
Le conseguenze di questo disallineamento sono molteplici.
Per affrontare questo problema strutturale è necessario promuovere un nuovo modello di orientamento scolastico e universitario, basato sull’integrazione tra scuola, formazione e mondo produttivo. In particolare, risulta fondamentale:
L’analisi congiunta dei fabbisogni occupazionali e dell’offerta formativa per il quinquennio 2025-2029, realizzata dalla Fondazione studi consulenti del lavoro su base dati Excelsior-Unioncamere, mette in luce quindi un quadro preoccupante: il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro rischia di aggravarsi in modo significativo nei prossimi anni, accentuando un mismatch strutturale che limita la crescita economica e occupazionale del Paese.
Il fabbisogno espresso dalle imprese italiane, stimato in base a scenari macroeconomici positivi e negativi mediati, evidenzia un’elevata richiesta di profili con qualifiche tecniche e professionali. Tuttavia, l’attuale configurazione del sistema educativo e le scelte compiute dagli studenti non sembrano in grado di garantire un adeguato rifornimento di competenze coerenti con le esigenze produttive. Il risultato è un divario crescente, che si manifesta in diversi segmenti del sistema formativo.
Secondo il modello previsionale del Sistema informativo Excelsior aggiornato al 2025, nel quinquennio 2025-2029 le imprese italiane esprimeranno un fabbisogno medio annuo di circa 594.200 nuovi occupati con almeno un titolo di istruzione secondaria.
Di questi, una quota consistente sarà rappresentata da figure tecniche e operative, spesso reperibili nei canali della formazione professionale e degli istituti tecnici.
Nonostante l’aumento del numero di diplomati e laureati, la distribuzione dei titoli di studio non rispecchia le esigenze settoriali del mercato. La Fondazione ha evidenziato che si verificherà un eccesso di offerta in alcune aree formative, mentre in altre si riscontreranno carenze rilevanti e persistenti.
Il comparto più colpito dal disallineamento è rappresentato dai percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP): secondo le stime, il fabbisogno annuo di diplomati provenienti da questo segmento sarà pari a circa 135.850 unità, mentre l’offerta prevista si fermerà a 70.000 diplomati all’anno.
Si tratta di un disavanzo di 65.850 profili non disponibili sul mercato estremamente significativo, che interesserà in modo particolare i settori produttivi a più alta domanda di manodopera qualificata, tra cui:
Queste figure professionali sono essenziali per garantire la continuità e l’efficienza dei processi produttivi, specialmente nei comparti legati all’edilizia sostenibile, alla transizione energetica e alla meccanica avanzata.
Tuttavia, l’offerta formativa in ambito professionale è sottodimensionata rispetto al potenziale impiego, e ciò rischia di produrre un duplice effetto negativo: da un lato, ostacola la crescita delle imprese, dall’altro limita le possibilità occupazionali di migliaia di giovani che, pur in cerca di lavoro, non hanno le competenze richieste.
Anche il canale degli istituti tecnici professionali, che rappresentano una delle principali filiere intermedie tra scuola e lavoro, mostra segnali di squilibrio: a fronte di un fabbisogno medio annuo di 173.100 diplomati, l’offerta attesa sarà pari a circa 153.800 unità, generando un deficit annuo di 19.300 diplomati.
I settori maggiormente colpiti da questo disallineamento saranno:
È evidente che i diplomati degli istituti tecnici risultano strategici per rispondere alla domanda di competenze digitali, ingegneristiche e tecnologiche, ma le attuali dinamiche scolastiche non ne favoriscono una crescita sufficiente.
Ciò è dovuto, in parte, alla persistente sottovalutazione sociale dei percorsi tecnici, spesso percepiti come “meno prestigiosi” rispetto ai licei, e in parte alla carenza di investimenti e infrastrutture in questi istituti.
In netta controtendenza rispetto ai canali professionali e tecnici, il sistema dei licei e della formazione terziaria universitaria continua a registrare un eccesso di offerta rispetto al fabbisogno occupazionale.
La Fondazione Studi segnala che la quota di diplomati liceali si attesterà intorno al 16,9% del totale, mentre la domanda delle imprese sarà ferma al 4,6%: uno scostamento di oltre 12 punti percentuali.
Discorso analogo può essere fatto per alcuni corsi universitari, in particolare quelli orientati ai settori del turismo, della ristorazione e delle scienze umanistiche, che nel medio periodo rischiano di produrre un surplus di laureati. Ad esempio:
Questo fenomeno genera un duplice effetto paradossale:
Il risultato è un mercato del lavoro sbilanciato, in cui la qualità dell’occupazione non segue necessariamente la quantità dei titoli di studio acquisiti. In molti casi, laureati e diplomati liceali si ritrovano impiegati in posizioni per cui non sono né formati né richiesti, generando fenomeni di sottoinquadramento, lavoro precario e scarsa valorizzazione del capitale umano.
Il sistema universitario italiano si trova oggi al centro di un delicato equilibrio tra eccedenza di laureati in alcuni ambiti e carenze strutturali in altri, generando uno squilibrio che ha impatti diretti sull’occupabilità dei giovani e sulla capacità del mercato del lavoro di soddisfare le proprie esigenze professionali.
Secondo le previsioni occupazionali per il periodo 2025-2029, le imprese italiane richiederanno annualmente circa 257.700 laureati, pari al 43,4% del fabbisogno complessivo di figure in uscita da percorsi secondari e terziari. L’offerta stimata sarà di circa 260.400 unità, con uno scarto minimo di poco meno di 3.000 laureati in eccesso. Tuttavia, questo apparente equilibrio numerico nasconde forti squilibri interni tra i diversi ambiti disciplinari.
Tra i settori che mostrano un deficit persistente di laureati troviamo:
Queste aree rappresentano i pilastri dell’innovazione del sistema produttivo italiano, e la loro sotto-copertura rischia di rallentare sia la transizione digitale sia l’adattamento ai nuovi scenari epidemiologici e demografici.
In netta contrapposizione, vi sono ambiti universitari che producono un elevato numero di laureati in eccesso rispetto alla domanda di mercato:
L’eccesso di offerta in questi ambiti si traduce in alti tassi di sottoinquadramento (impiego in mansioni non qualificate), contratti precari e lunghe attese per l’inserimento lavorativo.
Il problema non risiede unicamente nell’organizzazione del sistema universitario, ma anche nella rigidità delle scelte degli studenti, che tendono a privilegiare percorsi ritenuti culturalmente o socialmente più gratificanti, senza una valutazione oggettiva delle effettive opportunità lavorative.
Secondo i dati AlmaLaurea, aggiornati al 2023, il tasso di occupazione a un anno dalla laurea varia sensibilmente a seconda del corso di studi:
Questi dati mettono in evidenza un ritardo nell’inserimento lavorativo per molti laureati dei settori in eccesso, spesso accompagnato da retribuzioni inferiori alla media e da difficoltà di accesso a percorsi professionali strutturati.
Uno degli elementi più rilevanti e spesso trascurati è rappresentato dal differenziale di genere nelle scelte universitarie, che incide in modo diretto sulla distribuzione delle competenze e sulla competitività complessiva del sistema Paese.
Nel 2024/2025, le donne rappresentano circa il 55,9% degli immatricolati universitari, ma la loro presenza risulta fortemente concentrata in pochi ambiti disciplinari:
Al contrario, nei settori ad alta occupabilità, la rappresentanza femminile è drasticamente più bassa:
Questa polarizzazione contribuisce in modo significativo al persistente divario di genere nelle retribuzioni e nei percorsi di carriera, e rappresenta un ostacolo strutturale allo sviluppo equo e sostenibile. La sottorappresentanza femminile nei percorsi STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics), già evidenziata da anni, impedisce al Paese di valorizzare pienamente il proprio capitale umano nei settori più dinamici e richiesti.
In un contesto in cui la transizione digitale e verde impone un’elevata richiesta di competenze tecnico-scientifiche, l’esclusione di una parte consistente della popolazione studentesca da questi percorsi rappresenta una criticità strategica nazionale.
Una delle cause principali del mismatch tra domanda e offerta di lavoro in Italia risiede nella mancanza di un orientamento efficace e strutturato, che aiuti studenti e famiglie a compiere scelte consapevoli basate su dati concreti circa le prospettive occupazionali dei diversi percorsi formativi.
L’orientamento scolastico in Italia è infatti spesso limitato a pochi incontri informativi nel corso dell’ultimo anno delle scuole medie o superiori, senza un reale accompagnamento nella fase decisionale. Ciò porta molti studenti a scegliere licei o corsi universitari in base a fattori soggettivi, come la familiarità culturale, la pressione sociale o la percezione di prestigio, trascurando completamente l’analisi delle reali opportunità di inserimento nel mondo del lavoro.
Un orientamento efficace deve iniziare in modo precoce, già nel secondo ciclo della scuola primaria e proseguire lungo tutto il percorso scolastico, integrando:
Inoltre, l’orientamento deve essere personalizzato e adattato ai contesti territoriali: le esigenze occupazionali del nord Italia sono spesso molto diverse da quelle del sud, così come variano le vocazioni produttive delle aree industriali, agricole o turistiche. Per questa ragione, è fondamentale collegare i percorsi scolastici e universitari ai fabbisogni formativi dei territori, creando una sinergia virtuosa tra sistema educativo e sviluppo locale.
Collegamento tra percorsi formativi e fabbisogni territoriali
La raccolta e l’analisi dei dati sui fabbisogni professionali a livello territoriale (come quelli forniti dal sistema Excelsior) rappresentano, in tale contesto, una risorsa strategica per guidare l’orientamento: tali informazioni dovrebbero essere integrate nei percorsi di orientamento scolastico, aggiornate regolarmente e utilizzate anche dalle famiglie, dalle scuole e dagli enti locali per programmare l’offerta formativa in modo coerente con le opportunità presenti nei rispettivi bacini occupazionali.
Ad esempio, in un’area con forte presenza di imprese manifatturiere, dovrebbe essere incentivato l’accesso a istituti tecnici con indirizzi in meccatronica, energia o automazione industriale. Viceversa, in zone a vocazione turistica o agroalimentare, dovrebbe essere potenziata la formazione professionale nei servizi di ospitalità, cucina, gestione della ristorazione e marketing territoriale.
L’obiettivo è creare un ecosistema formativo integrato, in cui l’offerta scolastica e universitaria non sia astratta o standardizzata, ma funzionale allo sviluppo economico sostenibile del territorio.
Oltre all’orientamento, un’altra leva strategica per risolvere il disallineamento tra formazione e lavoro riguarda il rafforzamento della filiera tecnico-professionale, che oggi appare ancora marginalizzata rispetto ai percorsi liceali e accademici, nonostante rappresenti la chiave per rispondere alle reali esigenze del tessuto produttivo.
Una delle iniziative più promettenti degli ultimi anni è rappresentata dagli ITS Academy (Istituti Tecnologici Superiori), percorsi biennali post-diploma ad alta specializzazione tecnologica, nati per colmare il gap di competenze tecniche avanzate. Gli ITS si caratterizzano per:
Tuttavia, nonostante i risultati positivi, gli ITS coinvolgono ancora una platea troppo ristretta: solo l’1% circa dei diplomati vi accede, contro il 15% della Germania. Per rendere questo strumento realmente efficace, è necessario:
Collaborazione tra scuole, università e imprese
La costruzione di una filiera educativa coerente e orientata al lavoro richiede una collaborazione strutturale tra istituzioni formative e sistema produttivo. Non è più sufficiente formare competenze in astratto: è necessario co-progettare i percorsi formativi insieme alle imprese, attraverso:
Le scuole e le università devono essere considerate poli di innovazione e sviluppo territoriale, non solo luoghi di trasmissione di conoscenze. Per questo motivo, anche gli istituti secondari e gli atenei dovrebbero rafforzare il proprio dialogo con il mondo produttivo, adottando strumenti di monitoraggio dell’occupabilità dei diplomati e dei laureati, e adattando l’offerta formativa alle evidenze raccolte.
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