Il cliente non risponde penalmente delle espressioni offensive contenute nell'esposto all'Ordine

Pubblicato il 22 settembre 2010
La Cassazione, Quinta sezione penale, con la sentenza n. 33994 del 21 settembre 2010, ha annullato la condanna per diffamazione impartita dai giudici di merito nei confronti di una donna per aver inviato, al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Napoli, un esposto contenente affermazioni offensive ai danni del proprio legale. 

Con l'esposto, la donna aveva chiesto che venisse operata una valutazione sulla regolarità deontologica del comportamento del professionista in quanto lo stesso, malgrado avesse ricevuto del denaro proveniente da una controversia, non le aveva versato nulla. Perplessità rivelatisi infondate in quanto il Consiglio dell’Ordine aveva comunque archiviato il procedimento dopo aver rilevato che l'avvocato, dal canto suo, non aveva ricevuto alcun compenso professionale. Tuttavia, per le offese contenute nello scritto, la donna era stata condannata dai giudici di merito e da qui il ricorso della stessa in Cassazione. 

La pretesa di ottenere tutela di diritto penale a fronte di una cittadina che ha formulato, nella sede istituzionale, interrogativi sulla correttezza professionale del professionista non poteva trovare risposta affermativa secondo la Corte: la cliente, in realtà, aveva esercitato un diritto riconosciutole dall'ordinamento. Deve essere infatti riconosciuto – continuano i giudici di legittimità - “l'esercizio di un diritto, anche nel caso della condotta di chi indirizzi un esposto contenente espressioni offensive a autorità disciplinare, in quanto ricorre la generale causa di giustificazione ex art. 51 c.p., quale esercizio di un diritto di critica costituzionalmente tutelato dall'art.21 della Carta Costituzionale che è da ritenere prevalente rispetto al bene della dignità personale”.
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