Il giudizio di equa riparazione non deve eccedere i due anni

Pubblicato il 03 gennaio 2013 Con la sentenza n. 1 depositata il 2 gennaio 2013, la Corte di cassazione, Sesta sezione civile, ha accolto il ricorso presentato da due soggetti avverso la decisione con cui la Corte d’appello di Perugia aveva dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale reclamato dai due in considerazione della non ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione durato quattro anni e sei mesi.

Secondo la Suprema corte, in particolare, il giudizio di equa riparazione “è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, esigenza questa tanto più pressante per tale tipologia di giudizi in quanto finalizzati proprio all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza e un patema d’animo che sarebbe eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti ex lege n. 89 del 2001”.

Nella specie – ha spiegato la Corte - la durata ragionevole del processo non avrebbe dovuto eccedere, compresa la fase di Cassazione, i due anni; il ministero della Giustizia, conseguentemente, è stato condannato al pagamento di un’indennità per il ritardo pari a 1.187,50 euro per ogni ricorrente oltre agli interessi legali.
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