Riconosciuta l’estensione dell’impresa familiare al convivente di fatto che collabori stabilmente, con possibilità di partecipazione agli utili e ai beni dell’impresa.
Con l’ordinanza n. 11661 del 4 maggio 2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione si sono pronunciate in materia di impresa familiare, ai sensi dell’art. 230-bis del codice civile, chiarendo l’ambito soggettivo della disposizione alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale.
La vicenda traeva origine da una domanda giudiziale presentata da una donna che richiedeva il riconoscimento della propria partecipazione a un’impresa agricola condotta dal proprio convivente, deceduto nel 2012.
La ricorrente aveva dedotto di aver svolto, in maniera continuativa, attività lavorativa all’interno dell’impresa per un arco temporale di otto anni.
I giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) avevano rigettato la domanda, rilevando l’inapplicabilità della norma all’ipotesi di convivenza di fatto, trattandosi di disposizione eccezionale non suscettibile di interpretazione estensiva.
A seguito dell’ordinanza interlocutoria delle Sezioni Unite, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 148/2024, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 230-bis, comma 3, c.c., nella parte in cui esclude il convivente di fatto dal novero dei soggetti considerati “familiari”.
La pronuncia ha rilevato il contrasto con diversi articoli della Costituzione (in particolare artt. 2, 3, 4, 35 e 36), nonché con gli artt. 8 e 12 della CEDU, per il tramite dell’art. 117, comma 1, Cost.
In via consequenziale, è stata dichiarata incostituzionale anche la disciplina contenuta nell’art. 230-ter c.c., nella parte in cui non garantisce al convivente una tutela equivalente a quella riconosciuta ai familiari dell’imprenditore.
Nel recepire il contenuto della sentenza della Corte costituzionale, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso della ricorrente, cassato la sentenza della Corte d’Appello e rinviato la causa alla medesima Corte, in diversa composizione, per una nuova valutazione della fattispecie, in considerazione dei nuovi criteri interpretativi.
È stato inoltre osservato che, nella specie, la Corte territoriale aveva omesso di esaminare concretamente l’effettività e la continuità dell’apporto lavorativo della ricorrente all’interno dell’impresa, prescindendo da tale valutazione in ragione dell’esclusione soggettiva del convivente dalla disciplina.
La pronuncia in esame determina una modifica dell’ambito soggettivo dell’art. 230-bis c.c., includendovi anche il convivente di fatto che collabori in modo stabile all’attività economica dell’impresa.
A tale figura potranno pertanto applicarsi, ricorrendone i presupposti di fatto:
Resta comunque necessario, come precisato dalle Sezioni Unite, l’accertamento dell’effettività e della continuità dell’apporto prestato.
La decisione, in conclusione, si inserisce in un contesto evolutivo del diritto di famiglia e della tutela delle convivenze non formalizzate, tenendo conto dell’orientamento giurisprudenziale interno ed europeo.
L’estensione della nozione di familiare al convivente di fatto comporta l’applicazione della disciplina dell’impresa familiare anche in assenza di vincolo giuridico di parentela o coniugio, purché sussista una convivenza stabile e un contributo concreto all’attività economica dell’impresa.
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