IRPEF, ritenute solo sui redditi di lavoro prestato in Italia

Pubblicato il 08 febbraio 2020

Il sostituto d’imposta deve effettuare la ritenuta sui redditi di lavoro dipendente per la sola parte di lavoro prestato nel territorio dello Stato e non sull’intera retribuzione erogata.

La precisazione è resa dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 36/E/2020. Una società chiedeva di sapere se doveva essere assoggettato a tassazione in Italia il reddito di lavoro dipendente riferito ai giorni di effettiva presenza fisica del dirigente non residente, escludendo da tassazione la parte di reddito relativo ai giorni di lavoro trascorsi all'estero, in quanto prodotto fuori dal territorio dello Stato italiano.

L’Agenzia richiama il disposto normativo di cui all'articolo 51 del Tuir, secondo il quale il sostituto d’imposta deve effettuare la ritenuta sui redditi di lavoro, a prescindere dal fatto che il dipendente abbia o meno lo status di residente fiscale in Italia.

Tuttavia, i soggetti non residenti sono soggetti ad IRPEF solo sui redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato. Ciò in quanto, secondo il nostro ordinamento, il criterio di collegamento ai fini dell'attrazione dei predetti emolumenti nella potestà impositiva dello Stato è costituito dal luogo ove è svolta la prestazione lavorativa, ovvero sono imponibili in Italia i soli emolumenti corrisposti ai lavoratori dipendenti non residenti, per l'attività lavorativa svolta in Italia.

Questo principio – ha sottolineato l’Agenzia nella risposta n. 36/2020 – trova conferma anche nell’articolo 15 del modello OCSE di Convenzione per eliminare le doppie imposizioni, che nel disciplinare la ripartizione della potestà impositiva del reddito derivante dall'attività di lavoro subordinato, statuisce, tra l'altro, che: "i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato".

Pertanto, alla luce del combinato disposto dell’articolo 23 Tuir e del citato articolo 15 del modello di Convenzione OCSE, l’Agenzia ritiene che “la Società, previa presentazione, da parte del lavoratore, di apposita domanda corredata della certificazione di residenza fiscale all'estero - rilasciata dalla competente autorità fiscale estera - e dalla documentazione comprovante l'effettivo esercizio dell'attività lavorativa, potrà operare le ritenute ai fini IRPEF, di cui all'articolo 23 del d.P.R. n. 600 del 1973, solo sui redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato e non sull'intera retribuzione erogata”.

Inoltre, ricorda l’Agenzia delle Entrate che al fine di determinare il reddito di lavoro dipendente imponibile in Italia, occorre fare riferimento al rapporto tra il numero di giorni durante i quali la prestazione lavorativa è svolta nel nostro Paese e il periodo totale - espresso anch'esso in giorni - che dà diritto ad ottenere la retribuzione.

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