Irretroattività della messa alla prova

Pubblicato il 05 maggio 2015 Con sentenza n. 18265 depositata il 4 maggio 2015, la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, ha respinto il ricorso presentato da un imputato avverso la sua condanna per i reati di truffa e appropriazione indebita.

Lamentava in particolare il ricorrente come la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto inammissibile l’applicazione dell’istituto della messa alla prova ex Legge 67/2014, richiesto in sede di appello.

A detta del ricorrente infatti, pur in assenza di una norma transitoria, l’applicazione retroattiva dell’istituto in questione sarebbe stata comunque consentita dall’art. 2 comma 4 c.p., con riferimento anche alla giurisprudenza della Corte Europea del Diritti dell’Uomo ed al principio della lex mitior.

Sul punto la Cassazione, prima di entrare nel merito della decisone, ha ritenuto opportuno operare innanzitutto una ricostruzione sistematica dell’istituto della messa alla prova (introdotto dalla Legge 67/2014), anche mediante il richiamo agli ultimi pronunciamenti giurisprudenziali, comprese le Sezioni Unite.

Ha poi rilevato – respingendo le censure sollevate – come il nuovo istituto in questione configuri solo un percorso alternativo all’accertamento giudiziale, non andando tuttavia ad incidere sulla valutazione sociale del fatto, la cui valenza negativa rimane anzi il presupposto per imporre all’imputato – che ne abbia fatto esplicita richiesta – un programma di trattamento alla cui osservanza con esito positivo consegue l’estinzione del reato.

Si è dunque fuori – ha concluso la Corte – dall’ambito di operatività del principio di retroattività della lex mitior ed è tra l’altro da escludere che la mancata previsione dell’applicazione retroattiva della messa alla prova, si ponga in contrasto con la CEDU o con il disposto costituzionale.
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