La buona fede del contribuente garantisce il diritto alla detrazione Iva

Pubblicato il 07 gennaio 2013 Una società raggiunta da un avviso di accertamento, con cui veniva contestato un maggior reddito ai fini Ires, Irap e Iva per l’anno 2003 a seguito dell’utilizzo di fatture inesistenti, ha impugnato l’atto dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale, che ha accolto il ricorso riconoscendo la piena estraneità della contribuente riguardo all’emissione di fatture nei confronti di perone soggettivamente inesistenti. A tal punto, l’agenzia delle Entrate ha presentato appello per la parte relativa al riconoscimento del diritto alla detrazione Iva, sostenendo la mancanza della buona fede della società.

La Ctr Lazio, con la sentenza n. 164/28/12, respinge il ricorso dell’Ufficio ribadendo che la nozione di fattura soggettivamente inesistente implica necessariamente l’acquisizione effettiva del bene/servizio da parte del destinatario. Dunque, solo se c’è la prova reale della partecipazione del destinatario della fattura alla frode fiscale oppure vi è certezza che esso ne sia consapevole, quest’ultimo non ha diritto a detrarre l’Iva.

Viceversa, se una società è coinvolta a sua insaputa nella frode Iva, il diritto alla detrazione dell’imposta non può essere negato. Perciò, un contribuente che riesce a dimostrare la propria buona fede conserva il diritto alla detrazione dell’Iva applicata anche in relazione a fatture soggettivamente inesistenti.

Sulla base di questo principio, la Ctr laziale respinge il ricorso del Fisco e conferma la nullità dell’atto di accertamento non solo per ciò che riguarda la detrazione Ires e Irap, ma anche per l’Iva. Il contribuente è, infatti, riuscito a dimostrare la propria buona fede e, allo stesso tempo, ad escludere la sua conoscenza della frode in atto.
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