La capacità contributiva è anche un diritto

Pubblicato il 06 novembre 2006

L’evolversi del linguaggio degli ultimi anni ha portato a far perdere di significato alcune espressioni letterarie come per esempio quella di “capacità contributiva”. Proprio quest’ultima, infatti, è oggi un concetto che si sta sgretolando e che esige un ritorno alle origini e, quindi, alle radici normative. L’Autore muove da un’analisi storica del concetto, che trae le sue origini proprio nella nostra Carta Costituzionale ed in particolare nell’articolo 53, compreso nel titolo IV, che è quello che disciplina i rapporti politici, cioè i rapporti che intercorrono tra lo Stato e i cittadini. Tale matrice storica non deve costituire, però, una fossilizzazione dei processi interpretativi che, anzi, con il passare del tempo hanno portato a fare evolvere il concetto di capacità contributiva tanto che la stessa da mero “dovere” del cittadino è divenuto anche un “diritto”: cioè, per rimanere in tema, il diritto di essere tassato secondo la capacità contributiva. Il rispetto del principio di capacità contributiva impone, dal punto di vista delle manovre fiscali, che il prelievo non venga considerato semplicemente come un modo per sottrarre integralmente la stessa ricchezza tassata o in una misura che possa fondatamente minacciare l’equilibrio tra i bisogni finanziari del settore pubblico e l’interesse dei singoli. L’auspicio, perciò, è quello di recuperare l’esatto significato di capacità contributiva, nel senso più serio del termine al fine del suo corretto rispetto.

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