La responsabilità del superlavoro dei dipendenti ricade sull’azienda

Pubblicato il 09 maggio 2014 La morte del lavoratore causata da infarto per eccessivo stress lavorativo ricade sul datore di lavoro, che non ha vigilato sull’integrità psico-fisica del suo dipendente.

Il datore, infatti, è tenuto a risarcire i danni ai familiari per non aver vigilato sui ritmi lavorativi effettuatesi in azienda e per non aver adottato le dovute cautele per evitare il danno.

Stress da lavoro e infarto, al datore il risarcimento

La responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro è in capo all’azienda. Dunque, il datore di lavoro non può esimersi dall’addebitarsi il risarcimento degli effetti lesivi causati al lavoratore dall’inadeguata scansione dei tempi di attività.

Esiste uno stretto nesso tra il superlavoro svolto dal dipendente, che ricopriva il ruolo di quadro, e l’infarto che ha portato alla sua morte. Il datore non può addurre a sua difesa il fatto che il dipendente fosse troppo dedito al lavoro e non si era mai lamentato della sua condizione lavorativa nè tantomeno che non conosceva con esattezza le condizioni in cui venivano svolte le mansioni affidate ai dipendenti.

È onere del datore di lavoro - salvo prova contraria - conoscere come e in che modo lavorano i propri dipendenti.

Queste le conclusioni della sentenza n. 9945 dell’8 maggio 2014 della Suprema Corte di Cassazione.
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