Le reazioni dei professionisti alla sentenza 11082

Pubblicato il 11 maggio 2010

La sentenza n. 11082/2010 della Corte di Cassazione - Sezioni Unite civili – ha sancito il principio di diritto secondo cui files, e-mail, documenti, pareri, corrispondenza con i clienti del contribuente-avvocato possono essere esaminati dall’Amministrazione finanziaria alla ricerca di attività professionali fiscalmente rilevanti e non dichiarate e a tale attività non può essere genericamente opposto il segreto professionale.

La sentenza ha fatto discutere i professionisti, che l’hanno interpretata come un’ingerenza sulla loro capacità di esercitare il segreto professionale. Il fatto di ricevere la fiducia di un cittadino che si affida ad un professionista per un qualsiasi tipo di consulenza non significa necessariamente che quest’ultimo ha la possibilità/capacità di controllare chi rappresenta in maniera totalitaria e senza limiti. Né tanto meno è pensabile che il professionista possa verificare carte, file e documenti che non rientrano direttamente nella materia di accertamento richiesto.

Secondo Guido Alpa, presidente del Consiglio nazionale forense, la decisione è alquanto controversa se si parte dal principio secondo cui “il segreto professionale è un istituto posto a tutela del diritto di difesa del cliente, e non un privilegio del professionista”. Inoltre, è anche vero che “l'amministrazione possa utilizzare contro i clienti elementi magari acquisiti durante le verifiche disposte per vagliare la posizione del professionista- contribuente”.

Per Marina Calderone, presidente dei Consulenti del lavoro, nella pronuncia dei Supremi giudici si legge “la necessità di tutelare diverse esigenze, quella dell'interesse generale del principio di legalità, quella della privacy dei contribuenti non coinvolti alla verifica e quella dell'interesse professionale”. “Ovviamente questo non fa venire meno la massima disponibilità dei professionisti a collaborare per incentivare l'emersione dall'economia sommersa”.

Infine, Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, vede in questo episodio il pericolo di andare verso “un filone meno garantista e più sostanzialista”. Secondo il Presidente: “il segreto professionale non può e non deve proteggere i reati, ma deve comunque esserci un indizio di reato”.

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