Misura restrittiva in Ue sconta la pena

Pubblicato il 01 agosto 2016

La Corte di giustizia, con sentenza depositata il 28 luglio 2016 riferita alla causa C-294/16, si è pronunciata sulla corretta interpretazione della decisione quadro n. 2002/584 relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.

Detta normativa – a parere dei giudici europei - non può essere interpretata nel senso che essa si limiterebbe ad imporre allo Stato membro che ha emesso il mandato d’arresto europeo di dedurre i soli periodi di carcerazione subiti nello Stato membro di esecuzione di detto mandato, escludendo i periodi nei quali siano state applicate altre misure comportanti una privazione della libertà con effetti analoghi a quelli di una carcerazione.

Nozione di custodia

Ed infatti, la nozione di “custodia”, desumibile dalla decisione quadro, fa riferimento ad una misura non semplicemente restrittiva, ma privativa della libertà; ne risulta così ricompresa, oltre all’incarcerazione, anche qualsiasi misura o insieme di misure imposte alla persona interessata che, in ragione del tipo, della durata, degli effetti e delle modalità di esecuzione, la privino della sua libertà in modo analogo ad un’incarcerazione.

Ne consegue che l’autorità giudiziaria nazionale dello Stato membro di emissione del mandato è tenuta a verificare se le misure prese nei confronti della persona interessata nello Stato membro di esecuzione possano essere assimilate a una privazione della libertà e costituiscano, quindi, un’ipotesi di “custodia”.

E qualora, nel corso di questo esame, si pervenga ad una simile conclusione, la decisione quadro impone che dal periodo di detenzione definitiva sia dedotta la durata totale del periodo in cui tali misure sono state applicate.

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