Gratuito patrocinio. Consulta: sì se la mediazione obbligatoria ha esito positivo

Pubblicato il 20 gennaio 2022

Con sentenza n. 10 depositata il 20 gennaio 2020, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del  TU delle spese di giustizia, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta dall'avvocato nell’ambito dei procedimenti di mediazione obbligatoria, laddove venga raggiunto un accordo.

Incostituzionale è stato ritenuto, altresì, il successivo art. 83, comma 2, del medesimo Testo Unico, nella parte in cui non prevede che, in tali casi, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

Patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti di mediazione

La Corte costituzionale si è così pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Oristano e dal Tribunale ordinario di Palermo, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma (principi di ragionevolezza e di eguaglianza sostanziale) e 24, terzo comma, della Costituzione.

In particolare, è stato evidenziato come il nesso di strumentalità necessaria con il processo e la riconducibilità della mediazione alle forme di giurisdizione "condizionata" con finalità deflattive, costituiscano elementi che rendono "del tutto distonica e priva di alcuna ragionevole giustificazione" l’esclusione del gratuito patrocinio quando la stessa mediazione si sia conclusa con successo e non sia stata in concreto seguita dalla proposizione giudiziale della domanda.

In tale contesto, infatti, "non implausibilmente" i non abbienti e i loro difensori potrebbero essere indotti a non raggiungere l’accordo e ad adire comunque il giudice, proprio all’unico scopo di ottenere, una volta introdotta la causa, le relative spese difensive.

Ciò porterebbe nocumento non solo alla funzione della mediazione, vanificandone le finalità deflattive, ma anche a quella della giurisdizione, che finirebbe per essere strumentalizzata per obiettivi diversi dallo ius dicere.

Per la Corte, inoltre, sarebbe evidente il radicale vulnus arrecato dalle norme censurate al diritto di difesa dei non abbienti, in un procedimento imposto ex lege in specifiche materie nonché strumentale al giudizio "al punto da condizionare l’esercizio del diritto di azione e il relativo esito".

Rimane ferma - ricordano i giudici costituzionali nella decisione - la facoltà del legislatore di valutare l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei richiamati principi costituzionali, "una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio".

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