Niente "maltrattamenti in famiglia" senza una stabile comunità

Pubblicato il 23 luglio 2015

Con sentenza n. 32156 depositata il 22 luglio 2015, la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha accolto il ricorso di un soggetto, condannato, tra gli altri reati, per maltrattamenti in famiglia.

Avverso la pronuncia della Corte d'Appello – che per l'appunto confermava la condanna – il ricorrente contestava la sussistenza del reato di cui all'art. 572 c.p., attesa l'assenza di un vincolo matrimoniale, di convivenza o comunione di vita tra l'interessato e la parte offesa. Ne poteva giovare, in tal senso – a parere dell'imputato – la comune attività economica svolta dai due, che non aveva tuttavia la struttura di impresa familiare.

La Cassazione, nell'accogliere la censura, ha innanzitutto precisato come la fattispecie di cui all'art. 572 c.p. sia circoscritta, per espressa disposizione normativa, ad attività di natura abituale che maturino nell'ambito di una comunità consolidata (famiglia, piccola azienda, contesti nei quali si realizzi un affidamento di natura precettiva o di accudimento con caratteri di tendenziale stabilità), la cui specifica elencazione, oltre ad offrire all'interprete dei rigidi criteri ermeneutici, gli impone comunque di ricercare le caratteristiche tipiche di tali condotte anche nelle situazioni ad esse assimilabili.

Ora nel caso di specie, dalle risultanze di merito – prosegue la Corte – è dato ricavare un mero rapporto sentimentale che, sebbene di una certa durata, non è mai sfociato nella determinazione a condividere l'abitazione e la cui stabilità è dimostrata, oltre che dal perdurare nel tempo, esclusivamente dalla profondità dei sentimenti di entrambi.

Tale situazione non risulta dunque riconducibile alla fattispecie dei maltrattamenti in famiglia, non realizzando neppure in nuce gli estremi della famiglia di fatto, poiché è mancata qualsiasi manifestazione tangibile di stabilità.

 

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