Scelta di operare errata, struttura e equipe medica responsabili

Pubblicato il 30 gennaio 2018

Tutti i componenti dell’equipe medica, compreso il secondo aiuto, nonché la struttura sanitaria dove si è svolta l’operazione, sono responsabili per la scelta errata di eseguire un intervento non compatibile con le condizioni di salute del paziente, dal quale sia poi derivata la morte del medesimo.

Diligenza del “secondo aiuto”

Così la Cassazione la quale, con particolare riferimento al componente di una equipe medica in posizione “sottordinata, ha spiegato come anche questo soggetto non possa ritenersi esente da responsabilità e limitarsi al mero svolgimento delle mansioni a lui affidate, senza procedere ad una preventiva acquisizione di consapevolezza delle condizioni del paziente nel momento in cui questo viene sottoposto ad intervento chirurgico.

Dallo stesso, ossia, si pretende una partecipazione all’operazione non da mero spettatore ma consapevole e informata, di modo che egli possa dare il suo apporto professionale non solo in relazione alla materiale esecuzione dell’intervento, ma anche in riferimento al rispetto delle regole di diligenza e prudenza e all’adozione di particolari precauzioni imposte dalle condizioni specifiche del paziente.

Reciproco controllo nel lavoro in equipe

Ciò in virtù del principio di reciproco controllo che esiste in relazione al lavoro in equipe, in base al quale l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali.

In particolare, rientra negli obblighi di diligenza che gravano su ciascun componente, sia esso in posizione sovra o sottoordinata, quello di prendere visione, prima dell’intervento, della cartella clinica del paziente contenente tutti i dati utili a consentirgli di verificare anche se la scelta di operare chirurgicamente sia corretta o compatibile con le condizioni di salute del medesimo.

Vicenda sottoposta alla Cassazione

E’ quanto sostenuto dalla Corte di cassazione, Terza sezione civile, con la sentenza n. 2060 del 29 gennaio 2018, pronunciata nell’ambito di una complessa vicenda processuale attivata dai figli di una paziente, deceduta dopo essere stata sottoposta ad un’operazione chirurgica.

Gli istanti avevano agito per sentir accertare che il prelievo ematico e l’operazione eseguita, nonché le modalità della degenza e le successive dimissioni dalla clinica, nell’assoluta assenza di accertamenti e cure adeguati, costituissero causa o concausa della morte della madre, chiedendo, così, il risarcimento di tutti i danni conseguiti dal decesso della congiunta.

Domande accolte dalla Suprema corte, la quale ha affermato la responsabilità, in solido, delle strutture sanitarie coinvolte e di tutti i componenti l’equipe medica che avevano presenziato all’intervento, compreso il secondo aiuto.

Nella specie, era stato accertato che la donna era stata sottoposta ad un rischio ingiustificato, in quanto i medici non avrebbero dovuto sottoporre la signora al prelievo per autotrasfusione, senza prima eseguire i normali esami del sangue, ed avrebbero dovuto, invece, rinviare il successivo intervento, approfondendo i valori via via emersi.

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