Peculato a carico del curatore che si appropria del denaro in suo possesso

Pubblicato il 13 giugno 2013 Con la sentenza n. 25863 del 12 giugno 2013, la Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Perugia aveva ritenuto legittima la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta dal Gip del medesimo Tribunale nei confronti di un curatore fallimentare coinvolto in un'indagine per peculato e per formazione ed utilizzazione di atti pubblici falsi, aventi fede privilegiata.

Rispetto alla doglianza avanzata dalla difesa del curatore, secondo cui il Tribunale umbro aveva erroneamente qualificato i fatti addebitati in termini di peculato, laddove gli stessi avrebbero integrato, al più, gli elementi costitutivi dell'abuso d'ufficio o della truffa, la Suprema corte ha sottolineato come la sentenza impugnata si fosse correttamente uniformata alla regula iuris fissata, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità.

Ed infatti, la distinzione tra truffa e peculato – si legge nella sentenza – non va ravvisata nella precedenza cronologica dell'appropriazione rispetto al falso o viceversa, ma nel modo in cui il funzionario infedele viene in possesso del denaro del quale si appropria. Così, sussiste peculato quando l'agente fa proprio il denaro della pubblica amministrazione del quale abbia già il possesso per ragione del suo ufficio o servizio, mentre vi è truffa qualora il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, non avendo tale possesso, si sia procurato fraudolentemente, con artifici e raggiri, la disponibilità del bene oggetto della sua illecita condotta.
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