Pedaggi autostradali: rinvii adeguamenti 2020–2023 illegittimi

Pubblicato il 14 ottobre 2025

Incostituzionali i rinvii degli adeguamenti dei pedaggi autostradali 2020–2023. Per la Consulta, le norme hanno violato i principi di continuità amministrativa, libertà d’impresa e parità contrattuale nei rapporti di concessione.

Adeguamenti dei pedaggi autostradali: la decisione della Consulta  

Con la sentenza n. 147 del 14 ottobre 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle norme che hanno rinviato gli adeguamenti tariffari dei pedaggi autostradali per gli anni 2020, 2021, 2022 e 2023, in attesa dell’aggiornamento dei Piani economico-finanziari (PEF).

Le disposizioni censurate, contenute nei decreti legge n. 162/2019, n. 183/2020 e successive proroghe (d.l. n. 121/2021, n. 4/2022 e n. 198/2022), sono state ritenute in contrasto con gli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione.

Il contenzioso originario  

La questione è stata sollevata dal Consiglio di Stato nell’ambito di un giudizio amministrativo promosso contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), avente ad oggetto il diniego di adeguamento delle tariffe autostradali per gli anni 2020 e 2021.

Il giudice rimettente ha ritenuto che le disposizioni che rinviavano tali adeguamenti avessero prodotto un effetto paralizzante, sospendendo per più anni la determinazione delle tariffe e pregiudicando la continuità dell’azione amministrativa.

I principi violati secondo la Corte costituzionale

Lesione della continuità amministrativa e del buon andamento  

La Consulta ha evidenziato che le norme censurate hanno interrotto la continuità dell’azione amministrativa, impedendo al MIT di concludere i procedimenti di aggiornamento tariffario e privando i concessionari degli strumenti di tutela previsti dalla legge.

Il rinvio dei termini – osservano i giudici costituzionali – ha deresponsabilizzato l’amministrazione e alterato l’equilibrio del rapporto concessorio, a vantaggio della parte pubblica.

Violazione della libertà d’impresa  

Le disposizioni contestate, inoltre, hanno inciso anche sull’articolo 41 della Costituzione, limitando la libertà d’iniziativa economica privata.

Il differimento degli adeguamenti ha compromesso la capacità programmatoria e finanziaria delle imprese concessionarie, ostacolando la pianificazione di investimenti e interventi di manutenzione.

Ciò ha prodotto, secondo la Corte, ripercussioni anche sull’efficienza e sulla sicurezza delle infrastrutture, in contrasto con l’interesse generale.

Ragionevolezza e parità contrattuale  

Il legislatore, pur potendo incidere sui rapporti concessori, non può sbilanciare irragionevolmente l’equilibrio contrattuale tra amministrazione e concessionario.

Nel caso esaminato, non sussistevano ragioni di interesse pubblico tali da giustificare la sospensione pluriennale degli adeguamenti tariffari, poiché la regolazione del settore era già assicurata dall’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) e dalle delibere del CIPE.

Da qui la declaratoria di incostituzionalità delle norme censurate.

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