Il raffreddamento della perequazione delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS per il 2023 non costituisce un prelievo tributario.
Si tratta di una misura riconducibile alla discrezionalità del legislatore per assicurare l’equilibrio del sistema previdenziale.
Con la sentenza n. 167 del 13 novembre 2025, la Corte costituzionale ha confermato la legittimità del meccanismo di “raffreddamento” della perequazione introdotto dalla legge di bilancio 2023 (Legge 197 del 2022) per le pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS.
Nella disamina la Consulta ha giudicato le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. come non fondate, per erroneità del presupposto – la natura tributaria della fattispecie scrutinata – sul quale esse poggiavano.
L’ordinanza di rimessione proveniva dalla Corte dei conti Emilia-Romagna, nell’ambito del ricorso di ex appartenenti al comparto difesa e sicurezza.
l giudice rimettente riteneva che il “raffreddamento” costituisse un prelievo patrimoniale occulto e rappresentasse un'ulteriore reiterazione di interventi eccezionali in contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione.
INPS e Presidenza del Consiglio sono intervenuti rilevando che la pensione non viene ridotta: l’importo cresce comunque, pur con un indice inferiore al regime ordinario.
È stato inoltre chiarito che la misura riguarda tutte le gestioni dell’assicurazione generale obbligatoria, compresa la gestione separata, escludendo qualsiasi disparità.
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità ad essa rimesse, dopo aver chiarito che il meccanismo di "raffreddamento" della perequazione delle pensioni non può essere qualificato come un prelievo tributario.
Infatti, la misura non comporta alcuna decurtazione del patrimonio del pensionato, poiché l’importo della pensione viene comunque incrementato, seppur in misura inferiore rispetto al regime ordinario.
L’obiettivo principale della norma è il contenimento della spesa previdenziale, senza l’intento di generare nuove entrate per il bilancio pubblico.
Pertanto, il meccanismo risulta coerente con i principi costituzionali e non incide sulla natura tributaria.
La Corte, nella propria disamina, richiama la propria precedente sentenza n. 19/2025, che aveva già valutato la medesima misura sotto il profilo dell’adeguatezza e della ragionevolezza, ritenendola pienamente conforme alla Costituzione.
In quella pronuncia, era stato chiarito che:
La sentenza n. 167/2025 si pone dunque in continuità con tale orientamento, in linea, peraltro, con quanto già espresso nella sentenza n. 234/2020.
Secondo la Consulta, in ogni caso, le considerazioni espresse nella sentenza n. 19 del 2025 non supportano l'idea, avanzata dal rimettente, che le misure che limitano la dinamica perequativa debbano essere considerate “eccezionali” e, di conseguenza, irripetibili.
Al contrario, la Corte ha chiarito che solo una paralisi totale e ripetuta nel tempo, o una sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, potrebbero effettivamente entrare in conflitto con gli articoli 3 e 38 della Costituzione.
La Consulta, infine, ha ribadito l’invito rivolto al legislatore: utilizzare estrema prudenza per futuri interventi che incidono sull’indicizzazione, tenendo conto dell’impatto sui comportamenti di spesa delle famiglie e delle peculiarità del sistema contributivo.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".