E' valida e legittima una previsione collettiva che, nel caso della malattia, ricolleghi la regolamentazione del periodo di comporto non ai presupposti stabiliti dall’ordinamento per il risarcimento del danno e l’esistenza della responsabilità civile del datore di lavoro bensì alla esistenza dei diversi presupposti previsti in ambito Inail ai fini dell’erogazione della mera indennità per inabilità temporanea.
Con ordinanza n. 463 del 9 gennaio 2025, la Corte di cassazione, Sezione Lavoro, si è occupata di una controversia relativa al licenziamento di un lavoratore per superamento del periodo di comporto.
Il periodo di comporto - si rammenta - è il lasso di tempo durante il quale un lavoratore assente per malattia o infortunio ha diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Il caso verteva sull’applicazione delle disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del settore metalmeccanico, in particolare sulle assenze causate da una malattia riconosciuta come professionale dall’INAIL.
Dopo il licenziamento, il lavoratore aveva ottenuto sentenze favorevoli sia in primo grado che in appello, che avevano confermato l’illegittimità del licenziamento, disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro e la corresponsione di un’indennità risarcitoria.
Il datore di lavoro ha impugnato la sentenza di appello dinanzi alla Cassazione, contestando diversi aspetti, tra cui la presunta mancata considerazione di prove e precedenti giudiziali che, a suo dire, avrebbero dimostrato l’inesistenza della responsabilità del datore di lavoro.
La società ha inoltre sostenuto che il riconoscimento della natura professionale della malattia non fosse sufficiente per escludere le assenze dal periodo di comporto, chiedendo che fosse verificata anche una responsabilità specifica del datore ex articolo 2087 del Codice Civile.
La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello.
Nelle sue motivazioni, la Corte ha chiarito che, secondo la disciplina del CCNL Metalmeccanica Industrie, il periodo di comporto è strettamente correlato alla durata dell’indennità erogata dall’INAIL per malattia professionale o infortunio.
Non è richiesta, in tal senso, la dimostrazione della responsabilità civile del datore di lavoro, poiché il contratto collettivo prevede espressamente che il diritto alla conservazione del posto sia legato alla sola origine professionale della patologia, come certificata dall’Istituto assicurativo.
Segnatamente, gli articoli 1 e 2 del CCNL Metalmeccanica Industrie regolano la conservazione del posto di lavoro in caso di malattia o infortunio stabilendo un trattamento differenziato a seconda della natura della malattia. In particolare, stabiliscono che:
Tali norme, come detto, legano il periodo di comporto alla durata della tutela assicurativa prevista dall’INAIL, senza richiedere l'accertamento della responsabilità civile del datore di lavoro. Questo consente di tutelare i lavoratori durante le assenze causate da eventi direttamente riconducibili alla loro attività lavorativa.
Ne discende che, ai fini del comporto, è sufficiente che esista soltanto l'origine professionale della malattia e che essa sia correlata alla prestazione lavorativa secondo le regole dell’assicurazione obbligatoria.
Nel caso in esame, il lavoratore aveva adeguatamente dimostrato i requisiti per il riconoscimento della malattia professionale, mentre il datore di lavoro non aveva fornito elementi probatori per confutare la valutazione dell’INAIL.
Sentenze precedenti sfavorevoli al lavoratore, in materia di risarcimento per mobbing o demansionamento, sono state ritenute irrilevanti per il giudizio, poiché non incidevano sulla questione del licenziamento per superamento del comporto.
Nell’interpretazione della Corte, le disposizioni del CCNL rispecchiano il principio per cui le assenze dovute a malattie professionali o infortuni non possono gravare sul lavoratore, anche in assenza di una responsabilità specifica del datore di lavoro.
Tale impostazione, secondo la Corte, si inserisce nell’ambito della libertà contrattuale delle parti collettive e non viola alcuna norma imperativa. Nessuna norma imperativa, infatti, vieta l’esistenza di disposizioni collettive che escludano dal computo del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento l'articolo 2110 c.c., le assenze dovute a infortuni o malattie professionali.
La Cassazione, in definitiva, ha rigettato tutti i motivi di ricorso, confermando l’autonomia della disciplina contrattuale e la correttezza della decisione di appello.
Come conseguenza del rigetto, il datore di lavoro è stato obbligato al versamento del doppio del contributo unificato, in applicazione delle disposizioni normative vigenti.
Sintesi del caso | Un lavoratore è stato licenziato per il superamento del periodo di comporto a causa di una malattia riconosciuta come professionale dall’INAIL. I giudici di primo grado e d’appello hanno dichiarato illegittimo il licenziamento, disponendo la reintegrazione e un’indennità risarcitoria. La società datrice di lavoro ha impugnato la sentenza. |
Questione dibattuta | La controversia riguarda la correlazione tra la conservazione del posto di lavoro e la durata dell'indennità INAIL, in relazione alle previsioni del CCNL Metalmeccanica Industrie. La società sosteneva che fosse necessaria la prova di una responsabilità civile del datore per escludere le assenze dal comporto. |
Soluzione della Cassazione | La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che, secondo il CCNL, il diritto alla conservazione del posto è legato alla durata dell'indennità INAIL e non richiede la prova della responsabilità del datore di lavoro. La normativa collettiva è autonoma e legittima, non violando alcuna norma imperativa. |
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