Più facile provare il mobbing

Pubblicato il 06 aprile 2006

, con la sentenza n. 4774 della Sezione lavoro, depositata lo scorso 6 marzo, ha preso una posizione decisa circa la presunta pratica di mobbing adoperata da un datore di lavoro nei confronti di un lavoratore, che aveva presentato un ricorso perchè riteneva di essere stato vittima di un comportamento persecutorio a partire dal 1992 e per il quale richiedeva un rimborso. , decidendo in merito ad una delle condotte ancora sfuggenti dal punto di vista del nostro inquadramento giuridico, ha respinto il ricorso affermando che dalle accuse presentate non emergeva un comportamento vessatorio della società e, tantomeno, l’esistenza di un disegno persecutorio, come del resto era già stato affermato dai giudici sia in primo grado che in appello. , dunque, se da una parte sta gradualmente riconoscendo la possibilità della sanzionabilità del mobbing alla luce dell’articolo 2087 del codice Civile (“che vincola l’imprenditore ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità della prestazione, sono idonee a rispondere all’obbligo di sicurezza delle condizioni di lavoro”), dall’altra avverte che per l’esistenza dell’illecito non serve uno specifico inadempimento contrattuale e neppure la violazione di norme di legge a tutela del lavoratore subordinato, bensì si deve ravvisare un comportamento non estemporaneo del datore di lavoro, cioè un comportamento di natura vessatoria, che si sviluppi nel tempo, tale da comportare una lesione dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore.

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