Prova del transfer pricing attraverso il prezzo delle transazioni

Pubblicato il 08 novembre 2018

Il ricorso presentato in cassazione dall’Agenzia delle Entrate in merito ad avvisi di accertamento per recupero di Irpeg, Irap e Iva in relazione a cessioni all’esportazione, indebita deduzione di costi o detrazione Iva di una società, offre lo spunto per definire l’ambito di applicazione del transfer pricing.

L’amministrazione finanziaria, tra i vari motivi di ricorso, contestava la falsa applicazione degli articoli del Tuir in quanto la Ctr aveva ritenuto essere onere dell’ufficio provare che il prezzo versato per l’acquisto di beni dalla società controllante corrispondesse al valore normale.

Con sentenza n. 28335 del 7 novembre 2018, la Corte di cassazione accoglie tale doglianza, sul presupposto che le norme richiamate, non integrando una disciplina antielusiva in senso proprio, sono dirette a contrastare il fenomeno del transfer pricing (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti).

Pertanto, ciò che è tenuta a provare l'amministrazione finanziaria non attiene alla maggiore fiscalità nazionale o al concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, bensì alla sola esistenza, tra imprese collegate, di transazioni a un prezzo apparentemente inferiore a quello normale.

Invece, spetta al contribuente l’onere di dimostrare che le transazioni in parola siano avvenute in base a valori di mercato da considerarsi normali, secondo quanto specificamente previsto dall'art. 9 del Tuir.

Ciò trova riscontro, affermano i giudici della Suprema Corte, nel principio di libera concorrenza del Modello di Convenzione Ocse, secondo cui la valutazione in base al valore normale investe la “sostanza economica dell'operazione” che va confrontata con “analoghe operazioni realizzate in circostanze comparabili in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti”.

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