Reiterate soste al bar e plurime inadempienze: licenziato

Pubblicato il 07 settembre 2020

E’ stato dichiarato inammissibile, dalla Cassazione, il ricorso promosso da una lavoratrice contro il licenziamento comminatole per diverse e reiterate inadempienze, per come confermato dai giudici di primo e secondo grado.

Alla prestatrice, addetta alle mansioni di “ausiliario della sosta” in quanto dipendente della società tenuta al controllo del pagamento dei ticket nei parcheggi, per conto del Comune di Venezia, erano state addebitate delle reiterate soste al bar, eccedenti i venti minuti; la dipendente, in dette occasioni e per il corrispondente arco temporale, aveva tralasciato il controllo delle vetture in sosta.

Alla stessa ausiliaria era stato inoltre contestato di essersi fermata, in un’occasione, mezz'ora in ufficio indicando, in modo erroneo, l'orario di una sanzione, risultata applicata in coincidenza di una sua sosta al bar.

Detti addebiti, accertati dalla società in sede di ispezione interna, non erano stati contestati in sé quali fatti storici dalla lavoratrice ed erano stati confermati dall'istruttoria orale svolta in fase sommaria.

Nella contestazione, le era stata ascritta anche la reiterazione delle inadempienze, comportamenti ritenuti non giustificati da problemi di salute da cui era affetta la lavoratrice, per come accertato nel corso della CTU in proposito espletata.

Per tali motivi, la condotta della dipendente era stata sanzionata, a differenza che per altri colleghi, con la sanzione espulsiva.

La donna si era rivolta alla Suprema corte, asserendo che il licenziamento le era stato irrogato per avere commesso un falso in atto pubblico che era stato considerato provato sulla base dell'esame delle testimonianze rese da alcuni colleghi.

Questione di assoluta novità inammissibile in sede di legittimità

Una questione, questa, connotata da assoluta novità e come tale giudicata inammissibile dalla Corte di cassazione.

Con ordinanza n. 18246 del 2 settembre 2020, gli Ermellini hanno sottolineato come tale motivo avrebbe dovuto essere dedotto, negli stessi termini, già nelle fasi di merito.

E’ stato sul punto precisato che “qualora una questione giuridica - implicante un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell'inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche - per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto”.

Nella specie, non vi era alcuna pronuncia, nella decisione impugnata, sulla questione "de qua" perché le censure in sede di gravame attenevano ad altri profili.

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