Ricettazione di farmaci dopanti. Il concetto di utilità va valutato con attenzione

Pubblicato il 31 gennaio 2013 La Corte di cassazione, con la sentenza n. 843 del 9 gennaio 2013, ha annullato la decisione con cui le precedenti corti di merito avevano condannato per il reato di ricettazione di farmaci dopanti tre uomini che avevano acquistato ed utilizzato degli anabolizzanti.

I giudici di legittimità hanno ritenuto fondata l’eccezione sollevata dai tre imputati in ordine alla non integrazione della fattispecie legale del delitto di ricettazione per difetto dell’elemento soggettivo del dolo specifico in testa all’agente, vale a dire di aver compiuto l’azione “al fine di procurare a sé o ad altri un profitto”.

Nel valutare la presenza del profitto, infatti, i giudici di prime cure avevano ritenuto che fosse apprezzabile qualsiasi utilità o vantaggio, persino di ordine morale, come nel caso di ottenere un miglioramento delle proprie prestazioni o aspetto fisico e quindi anche la soddisfazione di un piacere narcisistico.

Tali conclusioni, tuttavia, non sono state condivise dalla Suprema corte in quanto, attraverso una elaborazione illogica del concetto di profitto, pervenivano ad una svalutazione del dolo specifico, con ciò integrando una violazione di legge.

Nella specie, in definitiva, era da escludere che il fine di compiere una azione in danno di sé stessi, sia pure perseguendo un’utilità meramente immaginaria, possa integrare il fine di profitto, vale a dire il dolo specifico previsto dalla norma di cui all’articolo 648 del Codice penale per la punibilità delle condotte ivi descritte.
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