Riforma Fiscale: dall’Iri all’abolizione dell’Irap. Proposte in Commissione Finanze

Pubblicato il 11 giugno 2021

La riforma del Fisco italiano prende forma grazie ad una serie di proposte avanzate dai partiti politici, che sono confluite nei documenti ufficiali depositati presso le commissioni Finanze di Camera e Senato.

Molti sono i punti sui quali, nei prossimi 20 giorni, si potrà lavorare per arrivare alla individuazione di una proposta comune che il Parlamento dovrà presentare entro fine mese al Governo, che a sua volta sarà chiamato, nel mese di luglio, a scrivere la legge delega.

Tra le proposte trasversali della riforma fiscale, importanti soprattutto quelle rivolte al ceto medio, colpito dalla lunga stagnazione italiana, prima, e, poi, dalla crisi del Covid-19, che ricomprende non solo i lavoratori dipendenti (per i quali è in corso il dibattito sulla revisione dell’Irpef), ma anche le partite Iva, per le quali si deve andare oltre alle misure emergenziali dei “sostegni”.

Il nodo della riforma resta, però, vincolato all’incognita delle risorse che, al momento, non sono in bilancio: i due miliardi scarsi previsti per il 2023 non risultano certo sufficienti per coprire i programmi ambiziosi e richiedono necessariamente la ricerca di nuove coperture.

Riforma Fiscale, l’Imposta sul reddito dell’imprenditore (Iri) in primo piano

Nei testi che i partiti hanno depositato alle commissioni Finanze di Camera e Senato per la riforma del fisco, torna prepotentemente alla ribalta l’imposta sul reddito dell’imprenditore.

Si tratta di una imposta nata con la manovra per il 2017, congelata con quella per il 2018 e, poi, abolita con la legge di Bilancio per il 2019.

Ora, per alcuni (Pd), “il meccanismo va riproposto per ristabilire l’equità del sistema e per rendere neutrale il prelievo rispetto alla forma giuridica dell’impresa”, mentre per altri (Cinque Stelle), l’imposta non può essere semplicemente riesumata, ma va ripensata stabilendo “un’opzione per la tassazione sostitutiva con aliquota proporzionale pari o leggermente superiore a quella Ires”, senza comunque andare oltre il 26% previsto per i capital gain.

La proposta è di una tassa unica al 24%, da applicare solo all’attività professionale, mentre alla parte di utili distribuiti, che quindi rappresentano la remunerazione del professionista o dell’imprenditore, si dovrebbe applica la normale tassazione progressiva.

Archiviazione dell’Irap e revisione dell’Irpef

Tra i punti condivisi dal Parlamento ci potrebbe essere anche l’archiviazione dell’Irap, che non andrebbe abolita del tutto per non incorrere in una perdita di gettito da parte di privati, ma che potrebbe confluire nell’Ires, non solo in un’ottica di semplificazione, ma anche per il superamento di quel paradosso di un’imposta che colpisce anche le imprese in perdita e tassa i fattori della produzione.

La proposta di un’abolizione dell’Irap e la sua sostituzione con una addizionale all’Ires, sembra trovare il consenso anche dei commercialisti, che hanno evidenziato come la semplificazione radicale sarebbe molto apprezzata perché porterebbe a cancellare la necessità di calcolare due basi imponibili.

Tutti i partiti concordano sulla necessità di abbassare le tasse sul ceto medio, che in termini fiscali significa rivedere il terzo scaglione dell'Irpef, quello fra i 28 e i 55mila euro, sul quale l'aliquota fa un balzo di ben 11 punti percentuali, dal 27% al 38%.

L'idea è di ridurre gli scaglioni da 5 a 3 e procedere con una razionalizzazione e ricomposizione della base imponibile del tributo, incluse le spese fiscali.

La proposta più frequente, complessa ma tecnicamente fattibile, è quella di adottare un approccio da “reddito duale”, limitando la progressività ai soli redditi da lavoro e sottoponendo tutti i redditi da capitale (dividendi, plusvalenze, interessi) ad una comune aliquota proporzionale, vicina a quella minima dell’Irpef per evitare arbitraggi fiscali.

Tra le altre ipotesi presentate anche quella di:

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