Sequestro di persona per l’operatore che impedisce al paziente di uscire dalla stanza

Pubblicato il 23 luglio 2019

La Suprema corte ha confermato la condanna per reati di maltrattamenti aggravati e sequestro di persona aggravato contestati ad un operatore sanitario ai danni dei pazienti psichiatrici ricoverati presso la struttura dove questi prestava servizio.

La condotta contestata era di aver utilizzato, nei confronti dei malati, metodi particolarmente aggressivi per immobilizzarli e indurli ad alimentarsi.

In particolare, era emerso l’utilizzo di ceffoni, insulti e colpi - che avevano provocato diverse lesioni personali - fino all’impiego di un materasso a ridosso della porta d’ingresso della camera dei malati per impedire loro l’uscita.

La Quinta sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 32803 del 22 luglio 2019, ha giudicato inammissibili i motivi di doglianza sollevati dall’imputato per opporsi alla condanna.

Dall’istruttoria era emerso che quelle contestate si erano rivelate delle modalità abituali, poste in essere dagli operatori in servizio presso la struttura, per non essere disturbati durante il servizio notturno.

La Suprema corte, in particolare, non ha rilevato alcun vizio di motivazione nella decisione impugnata ed ha confermato anche la qualificazione del fatto operata dai giudici di merito in termini di sequestro di persona.

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