Stalking Senza cambiare abitudini

Pubblicato il 31 agosto 2016

Il delitto di atti persecutori c.d. stalking è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo. Pertanto, ai fini della sua configurazione non è necessario il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

A stabilirlo, la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, respingendo il ricorso di un indagato ex art. 612 bis c.p., avverso l’ordinanza che aveva disposto, nei suoi confronti, il divieto di avvicinamento nei luoghi frequentati dalla persona offesa.

Prova evento Elementi sintomatici turbamento

A parere della Corte Suprema, l’iter logico-giuridico seguito dai giudici della cautela è stato convenientemente esplicitato, in armonia con il criterio più volte affermato, secondo cui la prova dell’evento nello stalking – in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia e di paura – deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico. Elementi ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto, in riferimento alla condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.  

Anche l’onere motivazionale circa le esigenze cautelari – conclude la Corte con sentenza n. 35778 del 30 agosto 2016 – risulta nel caso de quo ben adempiuto dai giudici, tramite il richiamo ai gravi e ripetuti atteggiamenti intimidatori e violenti ed alla capacità dell’indagato di contenere i propri impulsi aggressivi. Sicché la misura del divieto di avvicinamento alla vittima è stata ben spiegata con la concreta idoneità ad evitare il ripetersi di analoghi episodi. 

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