Tassa governativa sui telefonini, arriva il no al rimborso per i Comuni

Pubblicato il 03 maggio 2014 La tassa governativa sui telefonini non è “da ritenere abrogata per il solo fatto che il Codice delle comunicazioni ... non disciplini più l'uso dei terminali radiomobili di comunicazione (cioè i telefoni)”, pertanto è dovuta finché non intervenga una deroga di legge. Inoltre, non contraddice le norme comunitarie in tema.

È quanto deciso dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza 9560 del 2 maggio 2014, in merito alla richiesta da parte di alcuni Comuni di rimborso di quanto versato negli ultimi dieci anni (800 milioni l'anno) (consulta l'articolo "È illegittima la tassa sui cellulari dei privati").

Scongiurato l’esoso esborso per l’Erario

La questione in argomento era stata sollevata dalla Cassazione - sentenza 12056 del 2013 - che sollecitava un pronunciamento delle Sezioni unite per un ultima risposta in merito a una tassa, quella di concessione governativa sui telefonini, che si considerava non dovuta.

L'uso dei telefoni cellulari, si sosteneva, torna sotto le regole del Dlgs 269/2001 (apparecchiature radio e terminali di telecomunicazione) dopo che il Codice delle comunicazioni (Dlgs 259/2003), con la liberalizzazione del settore delle radiocomunicazioni, non assimila i telefoni cellulari alle rice trasmittenti.

Il Dlgs 269/2001 non prevede il presupposto della subordinazione dell'uso del telefono al rilascio di provvedimenti amministrativi, dunque scompare la base per l’applicazione della tassa sulle concessioni governative ai cellulari.

Ma tutto ciò è ritenuto definitivamente infondato.

Si ricorda che il Dl 4/2014, convertito nella legge 50/2014, ha posto rimedio alla questione sorta post Codice delle comunicazioni, chiarendo che “per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”.
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