Un “patto” per chi lascia senza portare via affari

Pubblicato il 23 marzo 2009 In una situazione come quella attuale, caratterizzata da una contrazione dei consumi e da un incremento della mobilità dei dipendenti (soprattutto del settore commerciale), il patto di non concorrenza assume una rilevanza molto importante per il mantenimento delle quote di mercato acquisite. In questo scenario, anche le aziende e gli istituti finanziari devono prestare molta attenzione alla potenziale concorrenza da parte di ex dipendenti. Dunque, appare fondamentale il tema della disciplina della concorrenza e, più specificatamente, quello dei limiti della concorrenza che possono essere imposti dalle imprese ai propri dipendenti che svolgono la loro attività in posizioni strategiche e di rilievo nel settore commerciale, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Mentre, durante il rapporto di lavoro, il lavoratore subordinato è tenuto a osservare l’obbligo di fedeltà e a non agire in concorrenza con il datore di lavoro, dopo la cessazione del rapporto la concorrenza dell’ex dipendente può essere limitata solo se in precedenza è stato firmato un apposito “patto” di non concorrenza, come prevede l’articolo 2125 del Codice civile. Il “patto” deve, quindi, osservare alcuni requisiti fondamentali per essere valido: deve risultare da forma scritta; determinare limiti di oggetto, di luogo e di tempo all’obbligo di non concorrenza; attribuire al dipendente un corrispettivo per l’assunzione dell’obbligo stesso. In quest’ultimo caso, il corrispettivo deve essere congruo rispetto al sacrificio richiesto e necessariamente determinato o, comunque, determinabile nel suo ammontare, al momento della stipulazione del patto.
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