Vademecum per gli uffici: verifica che le attività scudate erano detenute all’estero al 31 dicembre 2008

Pubblicato il 12 ottobre 2010

La circolare n. 52/E/2010 ha stabilito modalità di controllo ad hoc per i 180mila soggetti che hanno rimpatriato o regolarizzato attività finanziarie o somme di denaro attraverso lo scudo fiscale.

L’Amministrazione finanziaria ha, infatti, indicato i compiti e le attività che gli uffici sono tenuti a seguire in sede di controllo, nel caso in cui il contribuente opponga la motivazione dello “scudo fiscale” sulle somme accertate.

Si ricorda che una condizione della norma sullo scudo fiscale è che per accedere alla procedura di emersione, le attività oggetto di rimpatrio o di regolarizzazione dovevano essere detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2008. La prova della tenuta all’estero delle attività regolarizzate va fornita dal contribuente. Ma, in molti casi essa risulta difficile da fornire, soprattutto se durante il periodo d’imposta 2009 sono incorsi dei disinvestimenti e successivi nuovi investimenti, prima che venga presentata la dichiarazione riservata.

In sede di accertamento, i verificatori devono ricercare le prove che le attività erano detenute all’estero a quella data. Per gli uffici del Fisco la verifica non è più solo quella formale della presentazione della dichiarazione riservata, ma diviene un vero e proprio esame di qualità che potrebbe non mettere più i contribuenti al riparo da eventuali violazioni fuori scudo. Il controllo deve diventare più serrato così che gli uffici potranno entrare in possesso di elementi ulteriori e documenti attinenti al rimpatrio e alla regolarizzazione. Nel caso in cui vi dovesse essere un fondato motivo per ritenere l’insussistenza del presupposto della detenzione all’estero dei beni scudati alla data del 31 dicembre 2008, i verificatori potranno procedere al disconoscimento degli effetti premiali dello scudo e, se ve ne sono le motivazioni, inoltrare la denuncia alla competente autorità giudiziaria.

Dunque, per l’Erario si tratta di una tutela aggiuntiva, dato che la richiesta di ulteriori informazioni a giustificare l’attività di regolarizzazione, corredata dalla necessaria documentazione, potrebbe far emergere eventuali violazioni che non potevano essere coperte dallo scudo.

Anche in questo caso, però, le critiche non hanno tardato ad arrivare.

Per molti la richiesta di ulteriori prove documentali contrasta con il diritto alla riservatezza cui fanno affidamento tutti coloro che decidono di avvalersi della sanatoria dello scudo per rimpatriare capitali esteri. I professionisti, invece, lamentano il poco tempo a disposizione dei contribuenti per la presentazione della dichiarazione riservata (trenta giorni successivi a quello in cui si riceve formale conoscenza di un avviso di accertamento), che potrebbe risultare ancora più insufficiente alla necessità di integrare con documentazione aggiuntiva.

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